Anteprima assoluta per i lettori di LOUDD. E come di consueto facciamo un viaggio intenso nella grande cultura estetica e concettuale della musica italiana. Perché, parlando di musica italiana appunto, non ci si fermi soltanto alla superficie del pop più o meno discutibile osannato troppo spesso dai grandi media. C’è tanta bellezza in giro per questo tempo ed è nostro dovere non perderla di vista. Esce per RadiciMusic di Firenze quest’opera preziosa firmata dalla pianista e compositrice Katia Pesti. Si intitola “Abyss” ed è un viaggio strumentale che dal pianoforte classico prende derive spirituali e concettuali poco aderenti alle forme canoniche di estetica e di composizione. Il pianoforte preparato accoglie visioni e restituisce sensazioni colorandosi di percussioni balinesi e delle voci amiche di Gabin Dabirè e di Elaine Trigiani. Un disco che diviene esperienza, che diviene poi comprensione e alla fine si completa di ricerca. Dalla rete, in anteprima per LOUDD, vi mostriamo la semplicità del videoclip che incornicia “Humanity is divergent”, primo estratto, primo capitolo tratto dagli abissi, prima parte delle quattro grandi finestre aperte sul mistero della vita. Gli Abissi, la Terra, il Vento e poi il Cielo. L’intervista a Katia Pesti.
C’è molta spiritualità in questo nuovo lavoro, almeno per come arriva a me. Partendo dal titolo di questo primo singolo che presentiamo: che messaggio vuoi trasmettere quando dici l’umanità è divergente?
In realtà non voglio trasmettere un messaggio, ma semplicemente osservo che la capacità dell’umanità di pensare in modo divergente sia alla base della ricerca e della sopravvivenza. Non vi è nulla di didascalico nel titolo del brano, solo la sensazione di qualcosa, come una moltitudine di persone che parte da un punto comune per muoversi in direzioni diverse.
Che poi “Humanity si divergent” è un brano decisamente pianistico per un disco che prevede molte trasgressioni sul concetto di pianoforte in senso classico. E mi riferisco alle percussioni che suoni spesso insieme al pianoforte. Perché hai scelto proprio questo brano per presentare il tuo lavoro? E di queste percussioni così protagoniste? Rappresentano un semplice vezzo artistico di design compositivo oppure è un mezzo, uno dei tanti, che usi per raffigurare questa spiritualità umana?
“Humanity is divergent” in effetti è un brano pianistico, io amo il pianoforte classico. L’ho scelto perché rispetto a tutto il disco è uno dei brani più, come dire, soffice. Il resto del progetto è centrato sull’uso del pianoforte preparato, ed esalta la potenza percussiva dello strumento.
Riguardo al concetto di trasgressione, posso dire che quando suono i miei brani non ho la minima percezione di trasgredire... sento invece di farlo quando trasferisco il mio modo di suonare nelle composizioni classiche, ma sono convinta che la trasgressione sia l’aspetto più normale per mettere in crisi qualcosa di classico e renderlo classicamente trasgressivo. Quando si ha un’intuizione giusta, allora si parla di innovazione. La trasgressione è strettamente connessa alla conoscenza. A un certo punto dei miei studi ho iniziato ad appassionarmi al mondo degli strumenti a percussione, poi, dopo un viaggio a Bali ho avuto modo di conoscere il Gamelan, la tipica orchestra balinese, ed ho iniziato a sperimentare l’uso dei Reyong (una serie di piccoli gong intonati), Gong più grandi e Tamburi, inventando una “ditamaneggiatura” (chiamò così la mia modalità esecutiva) che mi consente di suonare contemporaneamente pianoforte e percussioni. La mescolanza delle timbriche ha segnato il mio percorso musicale, e per anni ho suonato sfruttando questa sintesi timbrica. Il pianoforte preparato è stata una logica conseguenza della mia visione musicale.
Le percussioni rafforzano ed esaltano la timbrica percussiva del pianoforte, inoltre danno luogo ad un’azione gestuale che fissa l’effetto musicale nel momento stesso in cui inizia l’atto esecutivo. Posso dire che in questo transitorio d’attacco risiede quel quid, che forse sottende ad una forma di spiritualità.
Più che un semplice vezzo artistico direi che durante l’esecuzione musicale, il contenuto visivo della gestualità si somma al risultato sonoro e conferisce una intenzionalità scenica alla composizione.
E riguardo alla spiritualità?
Riguardo la spiritualità..... la musica è spirituale.
Gli strumenti sono solo dei mezzi.
Il design compositivo si rivela nelle partiture perché a volte è difficile trascrivere le formule ritmiche risultanti dalle combinazioni tra pianoforte e percussioni. Per scrivere la partitura a volte mi rifaccio alla notazione informale contemporanea; altre volte, per rappresentare gli effetti che scaturiscono dal pianoforte preparato, invento delle forme astratte mescolate alla notazione tradizionale. La scrittura a volte sembra un disegno. I tamburi sono strumenti antichissimi in antitesi al pianoforte classico. Ho accostato i Reyong ed i Gong Balinesi, dall’intonazione instabile, ad uno strumento classico accordato perfettamente, creando effetti disarmonici, nella convinzione di trovare nella risonanza delle corde del pianoforte un punto d’incontro tra i battimenti prodotti dai Reyong balinesi.
L’uomo è al centro di tutto, almeno questo arriva mescolando assieme informazioni e suoni. Dunque secondo te possiamo dire che la musica è quel ponte che unisce a sé il materiale e l’immateriale? La vita terrena di un uomo alla sua spiritualità?
Dai titoli del disco traspare l’idea di umanità, ma non nel senso antropocentrico. Non credo affatto che l’uomo sia al centro di tutto. In questo disco ogni riferimento all’umanità è usato come metafora della vita stessa. Transita e si trasforma. L’umanità si muove sulla scena del mondo in un mistero mai svelato.
Credo che la musica ci metta in contatto con noi stessi e con lo spirito che c’è in noi.
Per chiudere facciamo un cenno a questo nuovo disco. Lo hai intitolato “Abyss”. Quindi ti chiedo: nell’abisso che raffiguri attraverso le composizioni di questo disco c’è il buio o c’è la rinascita?
Entrambi, è naturale!
Ma posso dirti di più: ho diviso la composizione in quattro parti a cui corrispondono quattro elementi naturali, ognuno di essi rappresenta un luogo fisico.
Gli abissi come luogo sotterraneo del nostro pianeta dove masse materiche si scontrano e si mescolano, lasciano impronte e sprigionano energie che si spingono verso la superficie.
La terra come luogo metafisico dove i bagliori emanati dal rame si proiettano e si distaccano lasciando impronte sorde sulla superficie terrestre
Il Vento come passaggio dell’esistenza, portatore dell’aria. Senza aria non sarebbe possibile percepire il suono. Lasciami fare una citazione: “L’aria, pur così necessaria all’udito, non può essere udita di per se stessa. Perciò, quantunque il suono non possa prodursi senza aria, tuttavia non ha la natura dell’aria, né l’aria quella del suono; ma l’aria è il corpo della vita del nostro spirito sensitivo, né ha la natura di alcun oggetto sensibile, ma quella d’una virtù più spirituale e più elevata”… (dal De Occulta Philosophia di Cornelio Agrippa)
Il cielo come luogo dell’immaginazione, dove ogni pensiero si libera e perde la sua struttura terrena.
Per chiudere direi che la musica va otre le parole e ti ringrazio per questa intervista che hai condotto.
La musica è in attesa..... silenzio!