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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
14/07/2017
John Lydon
O muori o credi
Le nostre vite tranquille si guastano quando esce nell’autunno dello stesso anno il primo singolo dei Public Image Ltd: perché da bravi travet del vinile il fatto di averne trovato (da Carù a Gallarate, evidentemente) una copia con copertina “come se fosse un quotidiano”, ci getta nelle ambasce quanto alla sua conservazione.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Da anni non nutro particolare simpatia per John Lydon, ma gli riconosco storicamente dei meriti, anche dopo lo scioglimento dei Sex Pistols.

Grandiosa cronaca, che mescola Gotham City e Charles Dickens (entrambi scaduti o in attesa di riscoperta a quell’epoca: l’inizio del 1978), quella che vede un neo-Lydon marciare nella marcia neve newyorkese[1] tipica della fine di gennaio e inizio di febbraio[2] dopo essere stato abbandonato da tutti.

Le lenti di Joe Stevens sono in agguato[3], del resto come non dargli ragione avendo egli già regalato i suoi biker boots a Sid Vicious per preservare la propria incolumità durante la traversata di un pezzo degli USA in autobus con “i due John”?

Ma Lydon dimora presso un altro fotografo: la locale Roberta Bailey (peraltro capo-fotografo della rivista di Holmstrom e McNeil quindi tutto torna).

Le nostre vite tranquille si guastano quando esce nell’autunno dello stesso anno il primo singolo dei Public Image Ltd: perché da bravi travet del vinile il fatto di averne trovato (da Carù a Gallarate, evidentemente) una copia con copertina “come se fosse un quotidiano”, ci getta nelle ambasce quanto alla sua conservazione.

Dalle parti delle festività natalizie, dopo Give ‘em Enough Rope e The Scream[4], peggio ancora per i maniaci della manutenzione degli involucri: First Issue è un album con la inner sleeve rigida a rischio “ditate” ma senza testi e, soprattutto, un disco che gira – insieme a L’urlo di Siouxsie and the Banshees (non perché lo scriva il periodico francese Rock&Folk, è proprio così) – l’angolo del punk senza guardarsi più indietro, due pietre tombali.

Il secondo singolo dei PIL nell’estate del 1979 sintomaticamente impone scelte: 7” o 12”?

In difetto di idiozia scegli cosa vuoi ascoltare! Tenendo presente l’origine di “Death Disco”: sorta di omelia funebre per la madre di Lydon, morta di cancro (diverrà la commemorazione per ogni successiva persona deceduta a lui cara), eppure con quella canzone i Public Image Ltd compaiono a Top Of The Pops[5].

Il 1979 è un anno di passione e fatica, mantenere il rispetto per se stessi è un compito non facile e impegnativo.

E cosa accade? Che con natalizia puntualità la vita musicalmente si complica di nuovo: questo album sono tre dodici pollici a 45 giri in una latta come quelle che contengono le pellicole cinematografiche, e quindi si chiama Metal Box[6].

Se quasi 30 anni dopo Simon Reynolds scriverà che quel formato (non la confezione) erano voluti per escludere un ascolto consecutivo dei tre dischi[7], la verità è che “Albatross” come apertura non induce i più timorosi a spingersi molto oltre, poi c’è il fatto che non poche copie risultano difettose quanto al vinile, comunque tendente a rovinarsi nella sua estrazione.

Difficile dopo tutto ciò avere qualche idea nuova, anche perché nel frattempo in ambito musicale ne sono “successe” di cose.

Ma per coloro, come me, che non sono: né sull’estremo che porterà a svolte epocali come fu (proprio nel 1981) quella de The Human League, né sull’opposto “a la Genesis P. Orridge”, né su quelle strane terze vie come Echo And The Bunnymen (che continuo a capire poco ancora oggi)[8], anche il terzo album dei PIL (con un radicale cambio negli organici), Flowers Of Romance è una bella sorpresa da porre a fianco della fede (che diverrà incrollabile) bansheeiana e degli ancora (e sempre?) piuttosto misconosciuti Bauhaus.

Tamburi, tamburi e tamburi (non c’è basso) e la voce di Lydon è ormai la litania di un muezzin, ma efficace (rispetto ai sempre troppo muscolari per i miei gusti Killing Joke), suoni che forse avrebbero dovuto farci cominciare a pensare all’Islam prima dei Public Enemy?

Il resto potete andarvelo a leggere sui bigini più o meno new/no wave[9].

Ecco perché trovo poco obiettivo sputare su John Lydon per quello che fece (e fa) dopo: incluse rimpatriate sempre più adipose con i Sex Pistols.

Infine, andate a vedere ed ascoltare quella che, probabilmente, è una delle tre (le altre due sceglietele voi) migliori interviste che egli abbia rilasciato: si tratta di “John Lydon - The British Masters – Chapter 8” di John Doran.

 

[1] Come ci avrebbe camminato a Londra: in entrambe le metropoli ci si interessa poco della sorte invernale dei pedoni, e anche degli automobilisti, innevati.

[2] Come ben sanno coloro che ci hanno abitato.

[3] Mi riferisco alla foto che fu pubblicata sul numero (il 14) di Punk The Original (sorta di incrocio fra fanzine e magazine, data la sua tendenziale patinatura e cura grafica, condotto dalla coppia John Holmstrom e Legs McNeil) dedicato al tour statunitense dei Sex Pistols.

[4] Rispettivamente il faticoso secondo album di The Clash e il debutto sui 33 giri di Siouxsie and the Banshees.

[5] D’altra parte in quella stessa stagione alla medesima trasmissione parteciparono anche S&TB con “Playground Twist”.

[6] Certo la novelty un poco si perde in quanto evidentemente stanno già cominciando a sinistra le operazioni di santificazione di The Clash, formalmente sancite da London Calling.

[7] Si potrebbe anche sostenere che sei lati consentivano un numero discreto di “combinazioni di sequenza”.

[8] Mentre non ho problemi a confessare che The Associates ho cominciato ad ascoltarli solamente in seguito agli apprezzamenti di Siouxsie Sioux e di Steve Severin.

[9] In effetti mi fa un poco ridere pensare che qualcuno si sia posto il problema: i PIL sono “new” o “no”?

Ma d’altronde uno dei problemi accademici nel 1978 era il fatto che portasse al polso un orologio “al quarzo”.