Cerca

logo
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/04/2018
The Human Beast
Volume One
L'uomo selvaggio tra le nebbie del Prog

Avete mai attraversato la campagna al tramonto d’autunno? Quando il vento si ferma e dai campi e dai canali sale una foschia galleggiante come il fumo blu di una sigaretta appena spenta? E i contorni degli alberi, delle torri e degli enormi tralicci dell’alta tensione si fanno confusi?

Questo piccolo album attraversa la vasta brughiera dei Baskerville, sempre sulle tracce della Bestia. Senza mai catturarla, intravedendola di sfuggita tra le pieghe di un rock che oggi diremmo dark. Che allora, anno 1970, era un progressive dalle tinte fosche, di quelli che stanno adagiati tra le pieghe della spirale Vertigo e certe rosee etichette Folk della Island.

In realtà Volume One uscì addirittura per la Decca e il trio, un classico triangolo chitarra-basso-batteria, dal tetro nome The Human Beast, scendeva direttamente dalla lontana Edimburgo (ma vado a memoria…), tra questi solchi più decadente che mai: basti ascoltare il rumoristico intermezzo di clarinetto su “Mystic Man”. E se è evidente che il wha-wha esasperato di Buchan insegue certe fluidità funk-hendrixiane, i brani sono più trasfigurati che psichedelici; più sognanti (“Naked Breakfast”) che lisergici. Addirittura parafilosofici nei loro elaboratissimi titoli, tra cui spicca il fantastico “Reality Presented As An Alternative”. Ed è pur vero che il pezzo migliore, “Maybe Someday”, è la cover di un conterraneo fuoriclasse come Mike Heron della Incredible String Band, ma le distorsioni su danza tribale di “Appearance Is Everything, Style Is A Way Of Living” e le onde d’urto elettrico di “Reality Presented As An Alternative” testimoniano di uno sciamanismo rock veramente crepuscolare che attraversa tutte le tonalità della cenere per viaggiare senza meta tra un’apparente folk elettrico che non ha paura di virare su sponde più robuste, addirittura hard con “Brush With The Midnight Butterfly”, fino ad intravedere quel che resta di tante estati dell’amore che sembrano passate da decenni, pur se ancora fisse nelle memorie dei musicisti più come il rimpianto di occasioni perdute che come il piacevole ricordo di felicità sperimentate.

Notevole la copertina, che potrebbe essere uno schizzo di Goya completato da un Bacon calato nello spazio metafisico di qualche De Chirico di passaggio.

Inutile dire che il gruppo non avrà seconde occasioni…

Certo, questo unicum non sarà sempre facile da reperire in giro. Io ho un vecchio CD usato… direi di stampa giapponese a giudicare dall’interessante booklet. Va comunque peggio a chi pretende il 33 giri originale della Decca: non sperate di spendere, oggi come oggi, meno di 300 euro…