13 motivi per morire.
13 musicassette per spiegarlo.
13 episodi per scoprire la vita segreta di una teenager americana.
Di motivi per farsi catturare, da Tredici, ce ne sono anche più di una dozzina.
Non lo si direbbe da subito, non lo si direbbe dai primi episodi in cui il ritmo non incalza, in cui il minutaggio fa un po' soffrire e il protagonista fatica a farsi simpatico, ma quando la serie Netflix prende piede, non ci si scolla più, e si vorrebbe sapere tutto e subito della vita di Hannah, dei motivi che l'hanno spinta al suicidio.
La storia, ormai, la si sa.
Hannah Baker ha deciso di togliersi la vita.
Lo fa, e non lascia un semplice biglietto, ma ben 13 musicassette in cui spiega, uno dopo l'altro, i tredici motivi che l'hanno portata a farla finita, le tredici persone -che in realtà sono 12- che l'hanno spinta in un angolo, sola, senza più sentire nulla.
Ad ascoltarle, con noi, Clay. Amico e forse qualcosa di più, a cui i nastri arrivano quasi per ultimo, con gli altri compagni coinvolti che non vorrebbero veder macchiata la loro reputazione e nascondono quanto fatto.
In gioco, c'è molto.
Siamo, ovviamente, in una serie teen, e non mancano i cliché con il ricco di famiglia stronzo e che tutto ottiene, con lo sfigato preso in giro da tutti, con la bella cheerleader e il bel giocatore sempre assieme, con l'omosessualità manifesta e repressa, con l'alcool che abbonda, con balli della scuola e feste di stagione.
Mescolare il tutto con temi importanti come il bullismo, l'abuso, il suicidio, non è facile.
Semplicismo?
Banalità?
Superficialità?
Fermi tutti, per giudicare il tutto, ci si deve mettere nella testa di un adolescente, un adolescente di oggi poi, dove smartphone e giudizi sanno essere ancora più feroci.
Si parla di bullismo, quindi, si parla di colpe e di silenzi, e lo si fa in una serie teen, che sa però sconfinare da cliché e da prevedibilità prendendo nel suo cerchio anche gli adulti, anche quei genitori troppo impegnati a litigare fra loro, a vivere, o ad analizzare ogni cosa, per accorgersi di chi soffre, o insegnanti che per mantenere una facciata, un lavoro, non ascoltano davvero.
Ed è ovvio che Tredici nei suoi motivi da dispiegare, nella sua narrazione doppia, prende e non molla più, che affonda sempre più i suoi colpi, esagerando a tratti magari, banalizzando pure, ma mai troppo se si pensa e si guarda con gli occhi di un adolescente ferito, quell'adolescente che poco o troppo, tutti siamo stati, se i personaggi li si impara a conoscere e amare. O odiare.
A dare un tocco in più alla serie, una colonna sonora che mescola pezzi cult - non a caso si ascoltano musicassette, mica file audio- a pezzi moderni, azzeccandoli tutti. A dare un tono, interpretazioni sofferte e sentite, da nominare, almeno, quella della protagonista Katherine Langford e quella della madre, una splendida Kate Walsh.
E si arriva al finale con l'amaro in bocca, con la sensazione che un lieto fine non era possibile, lo si sapeva, e proprio per questo fa ancora più male, con la sensazione che anche una serie, per più di tredici motivi, una vita la può salvare, e arricchire.