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REVIEWSLE RECENSIONI
24/05/2018
TT
Lovelaws
La chitarrista e seconda voce delle Warpaint alla sua riuscitissima prima prova solista, un disco sensuale e ipnotico dal quale è difficile non lasciarsi rapire.

Il canto delle sirene, qualcosa che gli si avvicina molto o comunque un disco a cui è difficile rimanere impassibili per la sensualità che trasuda. Il titolo dell’album in questione è “Lovelaws” e, in effetti, può indurre a impressioni affrettate e di istinto, come quel suono che in cuffia sembra un sospiro e che introduce alla prima traccia. Il mood stesso del disco - che definiremmo trip hop se non fossimo nel 2018 - ci spinge a raffigurare un corpo musicale in penombra di cui si scopre solo qualche dettaglio, volta per volta, mentre il resto è demandato all’immaginazione e agli altri sensi.

Perché è la voce che manda in estasi, irresistibile nella suo saper avvolgere tutto quello che incontra nel corpo dell’ascoltatore. Non che sia una vocalità particolare. È il timbro che esercita un costante richiamo. Come si fa a non rispondere di sì alla ripetuta invocazione “why can’t you be next to me?” del ritornello di “I’ve Been Fine”, cantata in quel modo? Come è possibile non cadere schiavi di un tale turbamento? Consideratemi già al fianco di TT, il posto è occupato, mi spiace per voi che siete arrivati tardi.

Che poi TT è Theresa Wayman, chitarra e voce in seconda delle Warpaint, la band di Los Angeles che, a parte una cover discutibile di “Ashes to Ashes” (capisco le buone intenzioni e i tributi e il fatto che alle Warpaint sia complicato dire di no, ma lasciamo stare Bowie, per cortesia) ha pubblicato tre dischi piuttosto interessanti.

Theresa (posso chiamarti solo Theresa?) non è la prima Warpaint a darsi alla libertà artistica e, come la sua compagna di band Jenny Lee Lindberg, ha intrapreso un solo project mettendo a frutto la parte di sé che ha contribuito a rendere le Warpaint così originali. In “Lovelaws” Theresa è riuscita a sviluppare le componenti che è costretta a mediare con l’estro degli altri membri. Questo significa che in Lovelaws esce tutta la personalità elettronica di Theresa espressa in dieci brani che, con un po’ meno di synth e groove machine, potrebbero essere inclusi senza nessun problema in un disco delle Warpaint.

Qui, nel suo regno, non c’è nessuno che la trattiene e il risultato è sorprendente e non lo dico solo perché, ascoltandolo a ripetizione, oramai con Theresa c’è un rapporto artista-ascoltatore particolare anche se immaginario. Certi passaggi sembrano creati apposta per quelle voci tutte vocalizzi che intasano il mercato dell’R&B contemporaneo, strade armoniche attorcigliate in tornanti e curve a gomito che invece Theresa taglia dritto, fedele alla sua estrazione artistica agli antipodi del virtuosismo.

È facile quindi che le canzoni di Lovelaws seducano anche le personalità più irreprensibili. Il primo lavoro solista di TT è un disco che ti si avvinghia, ti ipnotizza traccia dopo traccia e ti prosciuga di ogni dignità per poi abbandonarti inerte, privo di qualche organo vitale, come quella leggenda metropolitana dell’uomo in cerca di avventure che si lascia abbindolare da una predatrice a caccia di ingenui. E più o meno succede così.

D’altronde Lovelaws è un album tentacolare, un compendio sull’amore e sulle pratiche collaterali ad esso collegate, accompagnato da un menu ricco di suoni e ritmi così ancestrali per il genere umano che è facile cadere tramortito, perdere la testa, annientarsi. Ma perché poi resistere a Theresa Wayman? Theresa, scusa se mi sono distratto da te con questa recensione superflua. Canta ancora, ti prego. Aspettami. Arrivo.