Si finisce di vedere Westworld e si è in difficoltà.
Si resta sospesi, tra l’essere sorpresi, scioccati, l'aver quasi capito.
E come sempre, è quel quasi che frega.
Subito dopo averla finita, si avrebbe bisogno di rivederla tutta, Westworld, con occhi diversi, con occhi che sanno cosa guardare, ora che tutto dovrebbe essere più chiaro.
Ma partiamo da quell'inizio, da quell'inizio che è un pazzesco pilot che mescola finzione, realtà, futuro e passato. Neanche fossimo, di nuovo, in Black Mirror.
Siamo nel vecchio e polveroso west, ma siamo anche in un futuro in cui quel west è popolato da robot che sembrano in tutto e per tutto noi, che seguono una propria storyline. Siamo in un parco di divertimenti, dove per divertimento si intende mescolarsi a queste attrazioni, seguirle nelle loro avventure o volendo, senza alcun problema, ucciderle o farci sesso. Tutto è permesso, la morte, qui, non può entrare, né per i visitatori, inscalfibili, né per le attrazioni, che a morte avvenuta, vengono sistemate, rimesse a nuovo, e ricatapultate nel loro mondo a ricominciare un altro giorno, uguale ma diverso dagli altri.
C'è un gran maestro che -con un socio che non c'è più- ha creato questo parco, questo mondo e i suoi abitanti. È un maestro in crisi, messo alle strette dal consiglio che gestisce le azioni e l'economia di Westworld, si appresta a scrivere una nuova Storia. L'ultima, probabilmente.
Nel frattempo, teniamo d'occhio la bellezza fragile di Dolores, la ragazza della porta accanto, la più antica di quelle attrazioni creata da quel socio che non c'è più, e Maeve, ragazza del bordello che inizia a ricordare un'altra vita, un'altra storyline di cui era protagonista.
C'è poi un Uomo in Nero che sparge sangue e violenza alla ricerca di un significato, di un labirinto, c'è poi il buon Teddy che deve salvare Dolores, c'è pure un tecnico che aiuta Maeve a ricordare, a evolversi, a cambiare, e c'è Bernard, che sussurra alle attrazioni, che segue i piani di quel gran maestro.
Insomma, c'è parecchia confusione, soprattutto a dover ricapitolare tutto, senza fare spoiler, cercando di mettere in ordine, perché tutto evolve, niente resta uguale.
C'è però anche tanta poesia, che si fonde in modo sublime con la scienza, ponendo domande filosofiche sulla coscienza, la fede, la religione, lo scopo di una vita, la vera natura di sé.
Perché a questo Westworld sembra servire, nello sfogare le proprie pulsioni, nel seguire determinate svolte e storie, ci riveliamo pienamente.
Ma cosa fa di noi, noi, e delle attrazioni delle semplici attrazioni?
Se il test di Turing viene superato, cosa abbiamo davanti, una macchina, o un essere umano?
È come prendere tutta la sofisticatezza di Ex Machina e trasporla in grande, nel west, sul piccolo schermo, e il fatto che a farlo sia non solo quel piccolo genio di J.J. Abrams alla produzione ma soprattutto Jonathan Nolan (fratello minore -ma minore mica tanto- di Christopher), la dice lunga sul prodotto coi fiocchi che HBO c'ha proposto.
Da non dimenticare, poi, un cast di talenti che vanno dall'immensa Evan Rachel Wood ai sofisticati Anthony Hopkins, Ed Harris e Jeffrey Wright, passando per la sorprendete Thandie Newton.
Fiore all'occhiello, una colonna sonora da applausi a scena aperta, che fa di quel piano che si suona da sé, il personaggio preferito, che sa passare dai Rolling Stones ai Sound Garden da Amy Winehouse a tanti, fantastici pezzi dei Radiohead (da rimarcare lo splendido utilizzo di (Exit Music) for a film ovviamente nel finale).
E si finisce, come si è detto, pronti a tornare indietro prima di andare avanti, perché tutto sta per cambiare, una nuova storia è pronta, scritta ma ancora da scrivere per noi. E allora, torniamo sui nostri passi, consapevoli che anche quei momenti morti, quei cali di tensione e di passione nella storia, sanno nascondere altro, basta solo vederli con occhi nuovi.