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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/07/2018
VINILI
Con i Siberia, scappando non si arriva
Paolo Tocco ha intervistato Eugenio Sournia dei Siberia per Loudd.

Ho letteralmente consumato i solchi di questo disco in vinile, un reperto analogico ed antico in questo futuro digitale. Distopico a suo modo, come incipit e come oggetto. Eppure, ha un fascino che non lascia troppo margine per una sfida. Non è di qualità che si parla… ma di esperienza. Ed esperire prima di ogni cosa è materia umana e l’uomo non vive di perfezione ma di anomalie. La grandezza umana è lì che si celebra.

Sulle prime sono le etichette che amalgamano tutto e rendono banali i discorsi. Sulle prime, ascoltando questo disco, pensi ai Baustelle e se non fai attenzione a gestire come si deve quel marchio, te lo porti dentro per molto tempo ancora. Solo che in questo caso, da subito, senti pulsare ispirazione fresca, nuova, personale. E se il mood e soprattutto la voce di Eugenio Sournia possono trarre in inganno, sarà la vostra attenzione mescolata a dosi di invidiabile sensibilità a demarcare i confini, le differenze, le distanze e poi tutto quel che c’è di evidente a segnare a fuoco la canzone dei SIBERIA.

Si intitola “Si vuole scappare” questo nuovo disco… si vuole scappare…

“…indica il fatto che non ci sentiamo mai pronti ad abbandonare questo mondo illusorio, creato in parte dalla tecnologia in parte da un'eterna adolescenza sentimentale ed economica; vogliamo quindi scappare dalla realtà, dalle prese di coscienza, dalle responsabilità…” (Eugenio Sournia).

Un lungo ascolto per capire che dietro le trame di questo suono digitalmente rock, come impone la moda per i tempi che corrono, sono ricamate liriche per niente scontate, tessiture bucoliche, atteggiamenti industriali di un bohémien dei tempi moderni. Un disco umano racchiuso in questi inediti, un disco di non omologazione… messaggi contro la trasgressione eretta a bandiera di finte personalità. È probabile che sia il dolore, la sofferenza il vero rimedio all’evoluzione dell’individuo. Frasi e concetti importanti che richiedono una predisposizione altrettanto spinta all’analisi stessa, predisposizione buona per metabolizzare un messaggio simile: non parliamo certamente di sofferenza in luogo di malattie mentali, depressioni o altre soluzioni violente. Parliamo di presa di coscienza, di quanto attraverso l’esperienza importante (l’esperire con o senza coscienza) che a suo modo porta con sé la sofferenza (cosa che ci viene in ogni modo evitata dal progresso e noi pronti ad assecondarlo per comodità e paura - dunque omologazione), solo attraverso questo, dicevamo, si può accedere ad un processo evolutivo naturale, doveroso e assolutamente ricco di futuro. Siamo rinchiusi in un hotel, metafora delle alcove in cui ognuno protegge il suo destino dalle contaminazioni esterne, si veda come la vita si consumi più tra i computer che nelle piazze. Torna il concetto del voler scappare che interpreto anche in tal senso: voler evitare gli incontri, che divengono anche scontri, che divengono spesso anche rivoluzioni personali, di vita, di pensiero, di gusto, di cultura… un altro punto di vista può bastare a mettere in discussione ed è vero quindi che la metamorfosi è sofferenza a suo modo. Impacchettati negli hotel siamo anche capaci di programmare il futuro grazie ai nostri computer. Non a caso solo grandi scossoni realmente dolorosi al nostro incedere digitale destabilizzano e restituiscono la vera coscienza di ciò che conta davvero per la vita che corre. Accade sempre così. Almeno è così che lo vedo accadere.

Un disco in vinile per ascoltare questo suono digitale: sembra quasi dispotica come scena. Suona con estrema eleganza, sicuro in tutte le frequenze, deciso e delimitato nei suoi tratti. La voce forse, direi che la voce è l’unico punto debole (per fare davvero gli schizzinosi), non sempre capace di seguire e arginare le dinamiche del suono tutto. Nei momenti di maggior tensione, la voce appena appena cala di grinta e si vela di intelligibilità come a farsi un poco piccina e un poco timida. Un poco soltanto però. Dettagli di un ascolto che si rende prezioso per tutta la sua durata. Davvero canzoni importanti dentro questo nuovo disco dei Siberia.

Un grazie a Eugenio Sournia per aver dedicato tempo a queste lunghe domande.

Inizierei con una frase che mi ha colpito tantissimo per i tempi che corrono. “Far accettare l’amore è un gioco vigliacco. Devi nasconderlo come faresti con un veleno”. Che scenario hanno i Siberia davanti agli occhi per raccontarlo con frasi di questo peso e di questo significato direi definitivo?

Credo che questo sia un principio base della psicologia: si cerca chi ci appare prezioso, raro, ricercato. Uno dei modi più semplici per attribuirsi tali caratteristiche è, in qualche modo, negarsi, centellinare il proprio coinvolgimento emotivo in una relazione. Ma al di là di questo aspetto universale, che credo sia connaturato alla natura dell'uomo, specialmente nel momento presente è vero che essere amati attribuisce una grande responsabilità: e proprio per questo, per fuggire in qualche modo dai doveri che comporta il lasciarsi amare, "davanti all'amore si vuole scappare".

“Nuovo pop italiano”. Quanta omologazione sociale state raffigurando in questo brano? Quanta ce ne sta per le strade?

Ciò che ritengo più triste è proprio l'omologazione della non-omologazione, se mi passi il termine; è naturale che ci si riunisca in tribù, in gruppi dagli stilemi ben definiti, ma internet ha portato questo fenomeno all'esasperazione. Esiste una comunità, contigua a quella musicale, di pubblico, addetti ai lavori, eccetera, che ha fatto diventare un certo modo di essere non conformi una caricatura.

E l’omologazione di oggi quanto rovina o semplicemente contamina l’espressione artistica?

Oggi chi scrive, ancor più di ieri, deve fare i conti con l'utilizzo di alcune parole chiave, alcuni modi di dire, alcuni "hashtag": sto pensando a espressioni come "ansia", "disagio", "mai una gioia"; così come a temi ricorrenti, la relazione finita male, il viaggio all'estero, l'università... per finire con un certo tipo di sonorità e arrangiamento. Chi si mette a creare qualcosa sa che deve cercare di infilare nel discorso qualcuno di questi riferimenti, perché in qualche modo ciò sarà garanzia di una certa visibilità. Non vi è nulla di male a farsi ispirare dalla realtà che ci circonda, anzi trovo che sia giusto che i creativi cerchino di prendere spunto dal contemporaneo. Ciò nonostante spesso questo porta alla creazione di veri e propri prodotti usa e getta, che non hanno il respiro per resistere al passare del tempo.

Omologazione sociale. Trovo che sia una nuova forma di censura contro l’unicità e la personalità del singolo. I Siberia in che modo ci hanno fatto i conti confezionando la loro musica?

Io credo che il modo migliore per creare contenuti originali sia quello di rifarsi a temi che davvero non hanno età o luogo; e credo nel valore della sincerità, poiché se uno non si autocensura, cosa davvero difficile (almeno per me), è sempre possibile scorgere quel guizzo di innovatività e creatività nel pensiero di ognuno. Per questo nello scrivere cerco di essere il più possibile onesto con me stesso. Casomai, posso fare delle concessioni sulla forma, per avvicinare ciò che elaboro ad un linguaggio comprensibile alle persone a cui voglio arrivare.

“Ma nel mondo è la realtà di chi non ha bandiera”. Riferendosi alla tristezza che vogliamo o anche al vivere attraversando passivamente e superficialmente le giornate. Riferendoci alla quotidianità di chi emargina i pensatori liberi controllandoli nei confini del “proprio hotel”. La realtà come verità: per i Siberia quindi, cos’è e dov’è la verità? Nella tristezza che vogliamo?

Da cattolico dovrei risponderti che la verità è Dio. Ma sforzandomi di dare una risposta diversa, laica, direi che la verità è il mondo reale. Con i suoi confini, le sue forme, i suoi tempi. Oggi la compenetrazione della tecnologia nella vita dell'uomo - anche nella mia, ad ogni livello - è tale che i ritmi e i limiti della realtà sono spesso oltrepassati. Questo crea una forte nevrosi. Non sono luddista, credo nel progresso scientifico; ma credo che la grande sfida dell'uomo moderno sia nel saper mantenere questa "verità" anche attraverso questo caleidoscopio in cui guardiamo costantemente.

La tristezza, la sofferenza, nella mia limitata esperienza personale di ventiseienne sono il motore del progresso personale, di ogni arricchimento.

Non allontaniamoci troppo da questo concetto di “Hotel”. Io vorrei puntare ora proprio l’accento su “Chiusi nell’hotel”. Difficile spesso allineare il punto di vista per interpretare la vostra scrittura ma penso che questo brano sia davvero una grande canzone sociale. Penso che sia la canzone più importante di questo disco. Muore il mondo se lo costruiamo in verticale… e i bambini (cioè praticamente il futuro) che muoiono chiusi dentro questi hotel… un mega Truman Show dalle mura solide. È una canzone bellissima. E la mia chiave di lettura questa, vi piace? Ditemi: giusta, sbagliata, assolutamente fuori pista?

Spesso mi sorprendo quando sento come altre persone interpretano i miei testi che spesso sono volutamente, se non criptici, almeno aperti a diverse rielaborazioni. Mi piace soprattutto questo intendere "crolla il mondo in verticale" come "se costruito in verticale". Io credo in una gerarchia, in ogni società umana; ma dove la diversità sia nei compiti, non nella dignità e nell'importanza di ognuno. Con questa canzone mi volevo riferire in particolare al fatto che la nostra società di "creativi", intellettuali, sia in generale una parte molto piccola della comunità nel suo complesso, spesso privilegiata a livello economico, poiché può permettersi di fare quel che fa. E al tempo stesso comunque costretta in un luogo confortevole ma non del cuore, quale un albergo; perché autoreferenziale, priva del contatto con comunità diverse da sé, da cui una visione distorta di quel che c'è all'esterno. E anche io ne faccio parte, perché a 26 anni non ho ancora dovuto compiere un lavoro manuale in vita mia, non sono autosufficiente ma non ho fatto molto per esserlo. È una canzone che vuole essere un invito ad uscire, sporcarsi le mani; io considero il cercare di affrontare questi temi un primo passo nel fare questo percorso che auspico per me e per altri.

Ritorniamo ad un’epica del dolore. Trovo che sia una verità importantissima. Riduciamola POPolare: si stava meglio quando si stava peggio?

Sicuramente oggi come oggi c'è una certa banalizzazione del dolore, o meglio ricollegandomi ad una risposta precedente, sembra essere diventato parte di un "pacchetto": esibire un certo tipo di problematiche, specialmente psicologiche e psichiatriche, sembra essere diventato una sorta di lasciapassare per accedere alla considerazione dell'ambiente creativo. Tutto ciò a detrimento da una parte di una rielaborazione personale della sofferenza, da cui sola può derivare una maturazione di chi lo prova; dall'altra della considerazione che proviamo per quelle persone che realmente sono oberate da angoscia, ansia patologica, o altri sentimenti fortemente negativi.

Il rock si è fatto molto più dark del previsto su disco che sulle prime ha un suono che appare assai plastificato da un’elettronica importante, per niente banale, anzi assai strutturata e gustosa. Sembra quasi abbiate due anime. Quella rock “analogica” dal vivo e quella eterna digitale sui dischi. Di nuovo torniamo al concetto di verità ma questa volta parliamo del suono dei Siberia: qual è la vostra verità? Analogica o digitale?

Non siamo mai stati un gruppo con un marchio di fabbrica assolutamente distintivo per quanto riguarda il suono. La forma canzone ha la precedenza e abbiamo sempre inteso metterla al primo posto rispetto all'esigenza di mantenere una coerenza integerrima negli arrangiamenti. Proprio per questo, spesso utilizziamo strutture e atmosfere diverse a seconda del brano. Ciò nonostante, per rispondere alla tua domanda, i Siberia saranno sempre un gruppo con una forte componente live - amiamo che il disco suoni più "rozzo" quando suonato dal vivo, più energico, e mantenere una buona componente di sudore sul palco è assolutamente una delle nostre priorità anche per il futuro. Dunque ben venga una sorta di bipartizione fra l'esperienza live e quella sul disco.

Questo retrogusto introspettivo, questo scendere nelle trame meno solari di ognuno di noi… perché secondo voi è la tristezza quello che vogliamo? Oggi sembra davvero che sia così…

Come ti ho detto, reputo la sofferenza - più che la tristezza, che in quella frase intendo più nel senso quasi sarcastico di "malinconia" - una grande medicina. Il mondo è sempre stato malato, non dobbiamo avere l'illusione di vivere in un'epoca unica; ma sicuramente oggi abbiamo particolarmente bisogno di questo rimedio, il dolore, proprio perché apparentemente non ci manca nulla a livello di necessità basilari e non solo.

E restando sul tema, vi lascio il mio punto di vista da cui partire per un’ultima analisi. Dal primo disco a questo nuovo lavoro trovo che la direzione “cupa” sia andata accentuandosi sposando molto più un Tenco per le scritture vocali e molto più i Baustelle per le estetiche di arrangiamento sonoro. Anzi io ci vedo anche un bel Battiato dei grandi successi (“Ritonerà l’estate”) … che direzione sta prendendo la vostra musica?

Non lo sappiamo esattamente; sappiamo però che ci è piaciuto fare un cambiamento abbastanza netto dal primo disco al secondo, e che probabilmente ci piacerà cambiare ancora, a seconda di quello che le nuove canzoni che metteremo in piedi suggeriranno. E sappiamo anche che ci siamo trovati molto bene con entrambi i produttori con cui abbiamo lavorato, e che siamo sempre aperti a metterci in discussione se chi lavora con noi sa stimolarci.

Per chiudere. Io da cantautore ho scritto un disco ed un romanzo dal titolo “Ho bisogno di aria”. Voi avete intitolato questo lavoro “Si vuole scappare”. Sono curioso di scoprirne le analogie. Io ho pensato, per farne una sintesi, alla voglia interiore di rivoluzione come evasione dall’omologazione sociale. Voi? Da cosa “Si vuole scappare”? Ma soprattutto perché?

Il nostro "si vuole scappare" è un dato di fatto, una presa di coscienza in qualche modo generazionale. Indica il fatto che non ci sentiamo mai pronti ad abbandonare questo mondo illusorio, creato in parte dalla tecnologia in parte da un'eterna adolescenza sentimentale ed economica; vogliamo quindi scappare dalla realtà, dalle prese di coscienza, dalle responsabilità. L'aspetto sociale è sicuramente presente: ma credo che la musica dei Siberia resterà sempre principalmente incentrata su un aspetto esistenziale, e solo di riflesso sociale in senso stretto.