Non ho ancora capito quando è accaduto precisamente, quando si è venuto a creare questo cortocircuito che, in modo del tutto inaspettato, ha fatto sì che la musica, i raduni, i festival, non siano più luoghi ameni in cui si salta si balla, ci si cura dello spirito con uno dei nostri migliori alleati, ma siano diventati luoghi ove dare lustro e fare sfoggio di una presunta allure da mostrare in vetrina. "Iride, Fraschini music festival" si propone come la sola ed unica attrattiva nel corso di tutta la lunga estate pavese.
Il comune, nelle vesti dell’assessorato alla cultura e con la collaborazione del teatro Fraschini, ha promosso questo festival come un’occasione per la città di aprirsi ad un pubblico proveniente da tutta Italia, di creare un evento che avrebbe rinvigorito le casse dei commercianti pavesi, donato un novello prestigio alla città, fatto girar il grano insomma. (Gli altri festival, gratuiti e che da anni animano le notti pavesi grazie al sudore dei volontari, ridotti al minimo, addirittura in alcuni casi scomparsi).
Cinque date, nomi di spicco, Mogwai, Caetano Veloso, LP, Joe Satriani, Goran Bregovic. Cornice dell’evento il castello Visconteo, allestito come per le migliori occasioni. Palco spettacolare, impianto perfetto ma la sensazione di trovarsi al cospetto del Catellani durante una partita di biliardo (nota per i puzzaculi: sì, il Catellani è un personaggio di Fantozzi, se non lo avete visto, interrompete pure qui la lettura). Il pubblico ha pagato biglietti che vanno dai 50 ai 90 euro per vedere Caetano Veloso e figli (probabilmente Caetano fa come mia mamma quando ci dà i soldi a Natale, divide per tre). Tralasciamo il fatto che qui si sta perdendo di vista il buonsenso, mi chiedo come si possano pagare certe cifre, ma fingiamo per un istante di estrarre euro dal naso con la stessa facilità con cui estraiamo caccole. Paghiamo questi 50 euro per un posto nelle retrovie, non pensiamo a quelli che ne hanno spesi 90 per sedere in prima fila, in poltronissima, altissima purissima, a soli 9 metri di distanza dal palco, non pensiamoci. Pensiamo di averne investiti 50, estratti dalla narice destra e di entrare giocondi, per esempio, al concerto dei Mogwai.
È luglio, fa caldo, tra poco ci sarà il concerto, che si fa? Non si prende una birra e magari qualcosa da sgranocchiare? E qui viene il bello, anzi il tragico, il grottesco che solo delle Sentinelle in piedi al concerto dei Village People potrebbero creare: se vuoi bere, mio caro pubblico pagante, puoi stare solo a lato, non puoi goderti il concerto sorseggiando una fresca birretta, una bottiglietta d’acqua, no, perché tutti devono stare seduti. TUTTI (alla Catellani). Vuoi per caso prendere un panino? E no caro pubblico pagante, ci son le bruschettine a comodi 6 euri e non osare mangiarle al tuo posto, nein!, (tu mancia???) . Vuoi per caso fumare una sigarettina caro pubblico pagante? Ma che scherzi? All’aria aperta come ti permetti di fumare la tua fetida sigarettina? Hai pagato solo 50 euro, per questi pochi spicci, barbone, la sigarettina te la fumi nello stesso angolino in cui puoi idratarti e nutrirti. Non lo fai? Ci pensano le solerti maschere del Fraschini music festival ad illuminare la tua faccia da stronzo con una torcia intimandoti di spostarti, che non si può, non sta bene, non si fa.
Il gruppo suona e canta ed il clima è di tale partecipazione emotiva e di tale scambio tra chi sta sopra e chi sta sotto il palco che i Mogwai si limitano a dire per tutta la sera “Grazie”. Manco “Che bello essere qui tra di voi, che bella città, che figata di castello, che bel pubblico!” No. Dicono grazie come quando la zia Antoniuccia ti regala una sciarpa di lana con gli orsetti applicati: la ringrazi ma ti senti morire dentro (anche se Gianni Bella dice che non si può).
Mi piacerebbe davvero sapere cosa accadrà al concerto di Goran Bregovic (per il quale perlomeno i prezzi si sono dimezzati) che, al posto di veder saltare e ballare il pubblico, scorgerà tanti mesti ascoltatori, seduti, sulle loro poltronissime o sui loro gradinissimi, con le chiappe attaccate a quelle del vicino, al caldino caldino. È triste e avvilente leggere i commenti di chi ha pure percorso km di asfalto per arrivare a Pavia ed è tornato a casa con la certezza di non metterci più piede. Perché Pavia, in questo fantastico trampolino di lancio culturale, non ci ha guadagnato nulla. Non è stato organizzato un solo evento che accompagni il visitatore al concerto, non una bancarella, nemmeno un baracchino con panini e salamella, nulla. Il concerto finisce alle 23.30 e poi tutti a casa, fuori dai coglioni che qui non ci interessa avervi e la dimostrazione è palese quando alle 22.30 si presentano i vigli su richiesta di alcuni residenti che lamentano volumi eccessivi.
Alle 22.30 di sera, a Pavia, a luglio, ad un evento voluto ed organizzato dall’assessorato alla cultura. Pagliacci. Vi meritereste di vivere in località tanto ricche di eventi (la mia valle) che quando c’è la festa degli alpini anche le vecchie in carrozzina si presentano. Perché è festa, perché finalmente si può cantare e si può stare insieme, uniti dalla stessa voglia di esser lieti, felici, di godere del poco di sano che ci resta. Lamentate volumi superiori alla soglia? Domani dovete andare al lavoro? Ma dai??? Noi invece non facciamo un cazzo, non ci svegliamo mai, urliamo e basta. Pagliacci. Pagliacci voi e ciechi gli altri che non vedono, nonostante l’Iride, l’ennesima figura di merda che stanno regalando a questa splendida e bistrattata città.