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REVIEWSLE RECENSIONI
21/12/2018
Kirsty Bertarelli
Sweet Summer Rain
Le dodici canzoni in scaletta non superano il livello di guardia di un pop al minimo sindacale, levigato, patinato e stiloso come dev’essere la vita della Bertarelli

Kirsty Bertarelli è una delle donne più ricche e più belle del mondo, dal momento che, nei suoi quarantasette anni di vita, è riuscita a realizzare il sogno di molte ragazze: sposare il multimilionario italiano Ernesto Bertarelli (con cui risiede in Svizzera ormai da tempo) e vincere nel 1988 l’ambito premio di Miss UK.

Mica pizza e fichi, direte, e nessuno potrà darvi torto. Fatto sta che l’intraprendente Kirsty, oltre a destreggiarsi in questa vita da sogno, tutta palestra, vernissage, negozi alla moda e, le va dato atto, meritevoli opere benefiche e caritatevoli, ha anche una passionaccia per la musica. Di lei, forse, qualcuno ricorda Black Coffee, singolone scritto in condominio con le All Saints, e da queste portato in vetta alle classifiche britanniche nel 2000. A seguire, due album e qualche singolo, che hanno avuto un discreto ritorno commerciale soprattutto nella sua patria d’adozione.

Sweet Summer Rain è, dunque, la terza prova solista della bionda cantante anglosassone, che con pertinacia continua a dilettarsi nello scrivere canzoni a dispetto di un talento che, detto con molta franchezza, non esiste. Intendiamoci: il mondo è pieno di gente che suona e si esibisce senza sapere esattamente cosa sta facendo, e forse, sotto questo aspetto, la bella Kirsty è anche più consapevole di molti altri. Il fatto è che per cimentarsi nella musica, come in qualsiasi forma d’arte, bisognerebbe avere qualcosa da dire e i mezzi per farlo. Qui, a ben ascoltare, mancano sia le une che gli altri.

Le dodici canzoni in scaletta, infatti, non superano il livello di guardia di un pop al minimo sindacale, levigato, patinato e stiloso come dev’essere la vita della Bertarelli. Ma nonostante una produzione impeccabile e un suono coeso, a dispetto delle idee parecchio confuse, questa musica è totalmente esangue, priva di vita e di coraggio, e condita da testi che farebbero impallidire per la pochezza persino Tommaso Paradiso (“I’m dancing on your wire, jumping off a trampoline” come metafora della trasgressione). Che provi a imitare Lana Del Rey (la tile track, Burning Sun), senza peraltro possederne la conturbante malia, o a rimestare nella sciatteria più inquietante del pop da classifica (Tick Tock), o ad annacquare stereotipate sonorità americane (Love Me Like) o a riciclare synth con rievocano gli Eurythmics (Supertramp), il risultato è sempre e comunque di una pochezza disarmante.

Insomma, qui manca tutto, a cominciare dal pathos e da un livello di credibilità un po' più accettabile di quello serve a stupire annoiati miliardi che si ritrovano alla festa di compleanno del Dodi. Che, poi, la copertina del disco sia la cosa migliore di questi cinquanta minuti di, si fa per dire, musica, la dice lunga sullo spessore.