Dal 2010, questo We Get By è il quinto disco di inediti, preceduto, tra gli altri, da ottimi lavori, quali One True Vine (2013) o Livin’ On A High Note (2016). Per questa nuova fatica (ma sarebbe più giusto parlare di regalo per la nostra anima e per le nostre orecchie), la Staples si affida quasi completamente alla maestria di Ben Harper, uno che il suo marchio di fabbrica non fa fatica a renderlo ben visibile. Il risultato è un disco di altissimo livello, soprattutto molto asciutto nei suoni e nell’interpretazione.
Se il soul è musica ricca di stratificazioni, allora We Get By è indubbiamente un sano disco di blues. Blues diretto, pieno di contenuti nei testi – il singolo “Change” è un manifesto moderno dell’America Trumpiana – ma con un suono attento. Batteria, basso e chitarra, tutto qui, tutto funzionale a mettere in primo piano la voce della protagonista assoluta. Così nella struggente “Heavy on my mind” non si hanno possibilità di distrazione, mentre in “Anytime” si respira un’aria da Muddy Waters. Visto che è il momento dei grandi dischi di blues al femminile, rispetto ad un altro capolavoro uscito solo da un anno – quell’America’s Child di Shemekia Copeland che ci ha stregato – l’esercizio di Mavis Staples è più in punta di piedi, meno rock nella forma e decisamente più elegante nella sostanza.
Ben Harper si ritaglia, oltre al ruolo di produttore, anche il compito di firmare tutti i brani in scaletta e qui sta la scelta vincente del disco, perché si respira un’aria impegnata, un amore per la tradizione blues anche negli argomenti trattati, a partire da una copertina che colpisce come un pugno in pieno stomaco. L’incontro di due pesi massimi non ha partorito il topolino, ma una montagna forse ardua da scalare, ma che regala forti emozioni.