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REVIEWSLE RECENSIONI
30/09/2019
Lingua Ignota
Caligula
“Caligula” è un unico viaggio sonoro di 66 minuti (una lunghezza quasi improponibile, di questi tempi), privo di melodia nonostante sia ricchissimo di melodie, claustrofobico e scurissimo nonostante sia ricco di momenti aperti e luminosi.

Negli ultimi anni la storia ha rivalutato (in parte) Nerone ma Caligola no, non è possibile. Se si prescinde dal suggestivo ma fintissimo ritratto che ne ha dipinto Camus, rendendolo emblema del desiderio infinito che alberga nel cuore di ogni uomo, il terzo imperatore della dinastia dei Giulio-Claudi può essere liquidato senza troppi rimpianti come uno psicopatico della peggior specie, un monarca che, forse unico in tutta la storia occidentale, ha assunto l’arbitrio assoluto come unico ed esclusivo criterio del proprio agire politico e personale. Tanto che fa quasi ridere leggere la lunghissima serie di efferatezze elencate da Svetonio, talmente assurde ed esagerate che viene da pensare che fosse in effetti parecchio difficile essersele inventate tutte.

Se non fosse che rimane troppo lontano nel tempo, verrebbe da scegliere lui, piuttosto che Hitler o Stalin, come emblema universale del male assoluto.

Oggi Caligola dà il nome al terzo disco di Lingua Ignota, il progetto di Kristin Hayter e nelle intenzioni della ragazza di Providence diviene simbolo di abuso fisico e psicologico, sorta di racconto metaforico di una relazione affettiva realmente vissuta dall’autrice (stando ovviamente a quanto da lei dichiarato). Le premesse, anche conoscendo quanto particolare sia Kristin e avendo più o meno in mente cosa ha prodotto in precedenza, ci dicono che non siamo di fronte a nulla di accomodante.

Come e più dei suoi predecessori, questo lavoro rompe le convenzioni, disturba, conturba e mette in chiaro una volta per tutte che, se davvero vogliamo aspettarci una qualche originalità di proposta artistica negli anni che verranno, se ancora può avere un senso ascoltare qualcosa di “mai prodotto prima”, come da più parti si invoca, forse la cosa migliore da fare è guardare a chi sperimenta e si diverte a fondere registri diversi, a volte in totale contrasto tra loro.

La chiave per avvicinarsi a “Caligula” sembrerebbe dunque proprio questa, l’accostamento noncurante di mondi e linguaggi altrimenti destinati al conflitto.

Non si potrebbe spiegare altrimenti come una ragazza che ha ricevuto un’educazione cattolica, che era già atea prima di diventare maggiorenne e si è in seguito riavvicinata al cristianesimo (cogliendone più la componente estetica e spirituale che quella fideistica), sia riuscita a fondere la musica da camera, l’elettronica e il Black Metal, scrivendo testi che passano da riferimenti a Giuda Taddeo e ad Hildegarda von Bingen ad abiezioni psicofisiche degne del più terrificante film horror.

“Caligula” è un unico viaggio sonoro di 66 minuti (una lunghezza quasi improponibile, di questi tempi), privo di melodia nonostante sia ricchissimo di melodie, claustrofobico e scurissimo nonostante sia ricco di momenti aperti e luminosi.

Non c’è un centro, perché le composizioni sono spesso organizzate attorno ad un nucleo ridotto, a pochi elementi che si ripetono incessanti, aggiungendo strati e sfruttando la vocalità fuori dal comune della Hayter. Più che alle parti strumentali infatti (poche chitarre, seppur esplosive, e un’attenzione data a campionamenti e orchestrazioni) è opportuno guardare alla voce, che passa dallo screaming alle tonalità da soprano con una disinvoltura sbalorditiva e che risulta tanto più terrificante in quanto avviene tutto alla luce del sole, senza dare mai il benché minimo preavviso al malcapitato ascoltatore.

Che siano le colate di lava sprigionate da “Day of Tears and Mourning” o le litanie tragiche di “Sorrow! Sorrow! Sorrow!” (che contiene anche un campionamento della voce di Lars Ulrich dei Metallica, giusto per aggiungere dettagli senza senso ad un lavoro già ostico di suo), piuttosto che i mantra demoniaci di “Do You Doubt Me Traitor” e “Butcher of the World”, tutto parla di un lavoro tanto magniloquente quanto inquietante, che getta luce sull’abisso insondabile che è il cuore dell’uomo e che lascia ad ogni ascolto un sensazione allo stesso tempo di meraviglia e di fastidio.

Non c’è una strategia difensiva per accostarsi a “Caligula”: bisogna entrarci dentro a spron battuto e sperare di sopravvivere. Possiede la stessa innaturale spigolosità, la stessa brutale franchezza dei lavori di Swans, Zeal & Ardor, Anna von Hausswolff e tutti quegli artisti che non pongono nessuna barriera alla loro urgenza espressiva.

Lo ripeto: se c’è una strada per poter essere “originali” (con tutte le numerose declinazioni che può avere questa parola) passa da qui. Rimane solo il problema non indifferente che questa non sarà mai musica per tutti, neanche nel migliore dei mondi possibili.


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