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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
07/07/2017
The Velvet Underground
Una Ossessione
Innanzitutto una precisazione a guisa di premessa: non esiste un’obbligatoria coincidenza fra Lou Reed e The Velvet Underground, nemmeno ne esiste una fra John Cale e The Velvet Underground.
di Stefano Galli - http://steg-speakerscorner.blogspot.it/

Innanzitutto una precisazione a guisa di premessa: non esiste un’obbligatoria coincidenza fra Lou Reed e The Velvet Underground, nemmeno ne esiste una fra John Cale e The Velvet Underground.

Però difficilmente chi valica la soglia del tempio velvetiano si disinteressa delle carriere soliste dei suoi componenti, che poi si sostanziano non solo in quelle delle due “menti” del gruppo1, ma anche, checché se ne dica (attendo smentite), in quella dell’angelo teutonico Nico2.

Per contro qualcuno, non credo molti, può avere Lou Reed o John Cale, ancora più esigua la schiera dei secondi, come artista fra i preferiti senza preoccuparsi del loro passato. Forse.

E quasi in forma di avvertimento, più che di premessa, è da precisare che chiunque non si accontenta di ascoltare con satolla attenzione (o volevo scrivere “devozione”?) la produzione “regolare” (ma quale, soprattutto oggi?) dei VU (s’, questa abbreviazione è ammessa), quasi subito va alla deriva in elucubrazioni che – se non fossero nobilitate dall’argomento – sarebbero assimilabili a quelle dei tifosi di calcio, con rimpianti di formazione e fantasie postume davvero incomprensibili dall’esterno, assolutamente prive di ogni rilevanza nel mondo reale e poco appeal anche intellettuale.

Qui forse comincia, appunto, l’ossessione.

Ipotesi di un secondo album con il cantato con Nico, sogni ad occhi aperti di un sodalizio indissolubile fra l’aquilino Gallese e il riccioluto bardi della Nuova Amsterdam, e così via.

Perché un certo giorno ci si accorge che non basterà mai tutto quanto esiste di reperibile in forma sufficientemente agevole (cioè?) di The Velvet Underground.

Più che incidentalmente, nel frattempo ci si accorge di altro: Andy Warhol e, “e”, la sua Factory (qualcuno ha detto Edie Sedgwick?).

Ricordo uno dei concerti meno memorabili musicalmente di Siouxsie And The Banshees: quello al Bristol Womad del 1986, ma indimenticabile sotto altri profili. La fidanzata del tempo di Steve Severin, un’adorabile e giovane ragazza soprannominata Cricket, aveva dipinto sulla schiena del suo giubbotto di tessuto jean il volto di Edie Sedgwick, appunto.

Ma come si arriva “lì”?

Io, come altri, grazie3 al punk4: un giorno rammenti una recensione e compri un disco semiufficiale stampato in Australia (ce ne sarebbe stato un secondo)5, tempo dopo inciampi già nel CD di VU e/o nell’immediatamente successivo Another View.

Ancora non ci si fa molto caso – c’è tanta di quella musica nuova cui pensare! – sebbene il libro Uptight6 non possa mancare nella propria, seria, biblioteca.

Solo anni dopo il gesto irreversibile: il leggendario cofanetto australiano, ancora, che con rigore filologico apre la porta ai devoti casuali, agli ossessivi razionali: un bell’astuccio argentato di formato lungo con tre CD dal titolo What Goes On.

Poi sarà tutto in discesa, o in salita, dipende dai punti di vista.

Il quintuplo Peel Slowly And See può soddisfare da solo unicamente chi si illude di essere un illuminista sonico in un’epoca nella quale il concetto di enciclopedia appare ormai e purtroppo destinato a scomparire.

Altrimenti si allineano e si pongono in debito ordine tutti questi frammenti, belli anche sensorialmente alla vista e al tatto (cito per tutti il quadruplo CD Caught Between The Twisted Stars) o semplicemente confortanti: sia esso il doppio ufficiale Fully Loaded o il clandestino Searching For My Mainline in versione AAD (più ricco dell’originario vinile multiplo).

Con tutta evidenza, la storia è ormai infinita e nemmeno appassionante, si è già nelle discussioni sulla prevalenza qualitativa del suono monofonico o stereofonico ben prima di quando diventi di moda, a tacere dei missaggi alternativi.

L’unico vero sobbalzo è una piccola favola vera: il giovanotto che letteralmente inciampa in un disco anomalo in un mercatino delle pulci manhattanita: qualche spicciolo gli assicura la proprietà dell’acetato di Norman Dolph: cioè una versione inedita del primo album, detto in parole povere.

Senza perderci troppo il sonno, degli intrepidi giapponesi7 immettono sul mercato come bonus “ad altro” quell’acetato in formato CD.

Fine, sebbene in argomento Fernanda Pivano un inutile e nemmeno preciso articolo sul Corriere della Sera.

Playlist obbligatoria: “All Tomorrow’s Parties”, “White Light/White Heat”, “Sister Ray” e, per il testo, “Heroin”.

Bonus track, c’è lì già aria di futuro: “Rock & Roll”.

Non ci credete? Provate qui, allora:

http://olivier.landemaine.free.fr/vu/index.html

 

 

 

 

1 E le derivazioni poi si fanno onerose: se Cale produce l’esordio di The Stooges, David Bowie produce non solo Lou Reed ma anche Iggy & The Stooges.

2 Non me ne abbiano i “totalisti”, ma Moe Tucker e Sterling Morrison ci lasciano ben poco da ascoltare.

3 Ci fossi arrivato prima non necessariamente sarei progredito negli ascolti.

4 I miei lettori storici forse lo avevano intuito…

5 Gli album in questione sono, rispettivamente: Etc. e And So On.

6 Di Victor Bockris e Gerard Malanga, sottotitolo: The Velvet Underground Story.

7 Per chi volesse cimentarsi, oggi, nella ricerca: si vada a recuperare tutta la produzione della Nothing Song, nella tiratura originaria.