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REVIEWSLE RECENSIONI
Splid
Kvelertak
2020  (Rise Records)
IL DISCO DELLA SETTIMANA PUNK HARDCORE METAL / HARD ROCK ROCK
8,5/10
all REVIEWS
24/02/2020
Kvelertak
Splid
Riff super catchy e dallo spirito rock’n’roll abbinati a potenti dosi di metallo e ad un cantato in norvegese con una prepotente attitudine punk hardcore. La strada verso il Ragnarok è lastricata di ottima musica, e gli Kvelertak, con il nuovissimo Splid, ne fanno di assolutamente eccezionale. Un posto nella classifica dei migliori album dell’anno è già stato preso.

A meno che non siate irriducibili metallari, possiamo ragionevolmente supporre che non abbiate mai sentito parlare degli Kvelertak. Ebbene, in questo caso dovete sapere che dietro ad un nome che in italiano suona all’incirca come “stretta alla gola” ci sono sei ragazzi di Stavanger che da circa 13 anni sono tra le band più famose della Norvegia e suonano quello che molti definiscono death’n’roll. Cosa significa? È una bizzarra e sintetica definizione che ben rispecchia la loro molteplice anima, fatta di metal, rock’n’roll, hardcore punk e non solo, e che mai ne è uscita così ricca, libera, consapevole e molteplice come in questo quarto lavoro, Splid.

Splid, che nella nostra lingua significa qualcosa di simile a discordia, attrito, contrasto, divisione e disaccordo, trova il suo significato sia nella descrizione del nostro mondo, costruito sull’avidità e sulla stupidità, e del caos che spesso attraversa le nostre vite, sia nel risiedere in esso, sia nel rapporto tra persone. La gestione dei disaccordi e delle moltitudini, che esistono fuori e dentro di noi, è sempre complessa.

Un esempio dei tanti contrasti raccontati in Splid può essere il testo di “Necrosoft", che chiede a chi ascolta di scegliere tra il gufo e la chitarra elettrica. Questo perché ora in Norvegia si stanno tagliando le foreste per installare turbine eoliche, che dovrebbero essere più ecologiche, ma allo stesso tempo distruggono la fauna selvatica, come gli uccelli. Ma finché le persone vorranno di più energia (per suonare, usare il computer, lo streaming, etc.) sarà difficile avere un pianeta Terra sostenibile.

La gestione dei contrasti è all’ordine del giorno anche all’interno della stessa band, che vede nei membri originari dei classici uomini alpha abituati a confrontarsi con energica passione ad ogni tour, i quali da pochi anni sono in ottima compagnia di due nuovi acquisti: un nuovo batterista dal 2019 ma, soprattutto, un nuovo cantante dal 2018. Al posto del precedente Erlend Hjelvik, infatti, da due anni milita il talentuoso Ivar Nikolaisen (ex Silver e The Good, The Bad and The Zugly).

Per una band non è mai facile cambiare cantante, è un’operazione che cambia i connotati al gruppo e non è sempre semplice da far digerire ai fan, ma in questo caso si trattava di un vero amico della band dal primo omonimo album (2010), dove aveva cantato "Blodtørst", e di una persona che tutti i membri stimavano. Non appena Erlend lasciò il gruppo, difatti, la band non si perse d’animo: si guardò e si disse “ok, ora basta che chiamiamo Ivar”. Il vero problema si sarebbe presentato loro solo se lui gli avesse detto di no.

L’episodio, però, ha avuto il migliore dei finali e nel corso degli ultimi due anni Ivar si è perfettamente inserito nelle dinamiche del gruppo: andando in tour con la band in apertura ai Mastodon e contribuendo notevolmente alla scrittura del nuovo album, che questa volta può avvalersi di una vocalità molto più versatile della precedente, capace sia di un ottimo growl sia di un’ottima tonalità da pulito, e di un’attitudine smaccatamente punk hardcore, che anche gli altri membri della band non vedevano l’ora di rispolverare.

Splid è fatto di tradizione e innovazione al tempo stesso. Da un lato un suono sempre riconoscibilmente Kvelertak e la ormai consolidata collaborazione con Kurt Ballou (Converge), con cui hanno prodotto, registrato e mixato al Godcity Studio a Salem, in Massachusetts. Dall’altro, oltre alle novità vocali di Ivar, si riscontra anche una maggiore concessione alle sperimentazioni musicali, come nel respiro new wave e rock melodico di “Tevling” o negli incredibili 8 minuti e 32 secondi di “Delirium Tremens”, dove si passa dal progressive, al post hardcore, al math, al rock, al black metal in una tentacolare progressione di riff e di modulazioni vocali. Una sperimentazione così estrema e così ricca di libertà espressiva che, quasi a segnarne in prima persona la firma, ogni membro del gruppo canta una parte diversa della canzone.

Inoltre, per la prima volta, non vi sono solo tracce cantate solo in norvegese ma vi sono alcune puntate in inglese, tra cui la meravigliosa “Crack of Doom”, che vede come ospite nientemeno che Troy Sanders dei Mastodon. Gli ospiti, però, si possono ritrovare anche in “Discord”, dove alla voce contribuisce Nate Newton di Converge, Old Man Gloom e Doomriders.

Ultima nota su Splid va data all’artwork della copertina. Se nelle precedenti gli Kvelertak si sono avvalsi di John Dyer Baizley dei Baroness, in questo caso il lavoro è passato alle matite di Marald Van Haasteren, artista che spesso, come in questo caso, esplora l’idea di eleganza e bellezza nella natura e che ha avuto modo di collaborare all’artwork di numerose band metal, quali Ghost, Bolt Thrower, High on Fire, Deafheaven, Kylesa e Wolfbrigade. Recentemente, però ha lavorato proprio con John Dyer Baizley per gli ultimi due album dei Baroness. Come si usa dire: cambiare tutto per non cambiare nulla?

Più propriamente, però, si dovrebbe parlare della forza del rinnovamento e nel rinnovamento. Perché gli Kvelertak ci insegnano come la consapevolezza nelle proprie capacità, l’ardore nei propri cuori, la passione per quello che si fa, non solo non vengano fermate dai mutamenti e dai dissidi che incontriamo sulla nostra via, ma anzi, dinnanzi alla possibilità di evolvere e di arricchirsi di nuove sfaccettature e possibilità, la nostra identità non può che rafforzarsi ed ergersi sempre più forte e libera.

Pronti a vivere al massimo il presente e a guardare con rinnovate energie al futuro, gli Kvelertak ci regalano già all’inizio del 2020 uno degli album migliori dell’anno. Non lasciatevelo scappare.


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