Il mondo è pieno di giovani musicisti talentuosi che non riescono a sfondare. Il fatto è che, per quanto uno possa essere bravo, spesso le chiavi che aprono la porta del successo si trovano nelle tasche del fato. Jade Jackson, giovane californiana cresciuta nella cittadina di Santa Margherita, è cresciuta ascoltando i dischi di papà e ha iniziato molto giovane a suonare la chitarra e a scrivere canzoni, esibendosi in tanti locali della zona. La solita routine, insomma, di un musicista che cerca di sfondare, tirando la cinghia in una lunga gavetta che, spesso, non porta da nessuna parte. Per Jade Jackson però il fato ha scelto un altro percorso. Durante un suo concerto pomeridiano in una caffetteria di Los Angeles, infatti, erano presenti la moglie e il figlio di Mike Ness, leader del gruppo punk rock dei Social Distortion. I due sono rimasti talmente impressionati dalla bravura della songwriter che hanno voluto assolutamente metterla in contatto col loro padre e marito. E stato amore a primo ascolto e Ness ha messo mano alla produzione di Gilded, esordio pubblicato per la Anti Records, di cui in questi giorni stanno parlando in molti. Etichettata un po’ frettolosamente sotto il genere country, quest’opera prima è, invece, un riuscito disco di pop-rock che, mi prendo un azzardo, potrebbe far pensare a un album dei Cranberries (No Need To Argue?) che invece di bere Guinness al pub, preferiscono carburare con Budweiser e Bourbon. Sarà che il cantato altalenante della Jackson ricorda quello di Dolores O’riordan, anche se poi il timbro scorbutico e la pronuncia un po’ strascicata fanno pensare a Lucinda Williams; o sarà che tutto il disco gioca sull’interplay fra chitarre acustiche ed elettriche, che innescano melodie irresistibili o liberano grintosi riff di chitarra, su cui si sente la mano ruvida di Mike Ness. Sarà quel che volete, ma l’ombra della band irlandese aleggia su tutto l’album, a partire da Aden, opener pop (rock) e perfetta radio song, e a chiudere con il rock (pop) di Better Off, due brani che sigillano una scaletta in cui prevale la ballata (l’arioso folk di Back When, il blues sgranato dell’ottima Bridges) ma che contiene anche qualche brano più energico, come la graffiante e punk oriented Good Time Gone, che si chiude con la batteria in up tempo e un vibrante assolo di chitarra portato in eredità dai Social Distortion. Non mancano momenti in cui il suono americano è più accentuato, come nelle atmosfere noir-western di Motorcycle e di Trouble End, due degli highlights del lotto. Da segnalare anche la title track e Salt To Sugar, intense ballate che testimoniano come la Jackson, nonostante sia all’esordio, possieda già un songwriting strutturato e ricco di intuizioni. Le ospitate di Sara Watkins (violino in No Guarantees) e Greg Leitz (steel guitar in Finish Line), poi, certificano ulteriormente la qualità di un disco che si fa davvero fatica a togliere dal lettore.