Venticinque anni, un lasso di tempo non trascurabile. Tornando indietro di un quarto di secolo riscopriamo un mondo che oggi ci appare lontanissimo; la foggia dei telefoni cellulari si avvicinava di più al mattone esibito da Michael Douglas in "Wall Street" piuttosto che a quella dei moderni smartphone, tutti possedevano l'apparecchio fisso e in certe abitazioni era perfino possibile trovare il "bigrigio" Siemens a disco; il pool "Mani Pulite" disgregava il Pentapartito, Ciampi faceva del suo meglio per tenere in piedi la baracca e intanto Berlusconi perfezionava la sua discesa in campo. Nanni Moretti ci portava in viaggio tra Spinaceto, Stromboli e ambulatori medici, Roberto Benigni strappava risate e i fratelli Muccino non avevano ancora cominciato a fare danni con la macchina da presa. Anche l'universo musicale era profondamente diverso: quel che restava della plastica degli anni Ottanta veniva definitivamente spazzato via dalla tempesta del grunge, Peter Gabriel aveva tutti i capelli ed una corporatura accettabile mentre in Italia gruppi come Afterhours, Gang, Yo Yo Mundi e CSI esplicavano con chiarezza che indipendente - a differenza di oggi - non è sinonimo di modaiolo.
E poi c'erano gli U2, all'epoca considerati da molti - a ragione - la più grande band in circolazione; otto album alle spalle, tre dei quali capolavori assoluti: "The Unforgettable Fire" (1984), "The Joshua Tree" (1987) e "Achtung Baby" (1991). Quando nel luglio del 1993 Bono e soci pubblicarono "Zooropa", l'album - pur non facendo gridare al miracolo ed evidenziando qualche sbavatura - venne giudicato come un lavoro molto buono, e lo era. Quello che nessuno poteva prevedere era che quello sarebbe stato il loro ultimo grande disco. Da quel momento, durante questi venticinque lunghi anni, ad ogni annuncio di una loro nuova uscita abbiamo atteso speranzosi di ritrovarli al vertice creativo di un tempo ed ogni volta, puntuale, si è presentata una cocente delusione. In questo periodo lo strazio si perpetua. Nei giorni scorsi gli U2 hanno rilasciato due brani che faranno parte di "Songs Of Experience", il nuovo album in uscita a dicembre: The Blackout e You're The Best Thing About Me, scelta come primo singolo ufficiale. Un terzo brano - The Little Things That Give You Away - è stato invece presentato durante le date del The Joshua Tree Tour 2017.
Non ci è dato sapere su quali basi la band abbia scelto il titolo del disco, ma se il termine "experience" deve essere inteso come capacità acquisita, attraverso anni di pratica, di creare a tavolino brani senz'anima ma sufficientemente ruffiani per coinvolgere un consistente numero di persone, allora l'obiettivo è stato centrato. Può darsi che il resto dell'album si riveli sorprendentemente di alto livello, anche se crederlo richiede un supplemento di fiducia di cui francamente non disponiamo, ma al momento occorre fare i conti con quanto ci è possibile ascoltare, ovvero tre canzoni noiose, prevedibili quanto una stecca di Biagio Antonacci. Brani che, nel migliore dei casi, sembrano scarti degli scarti di "Achtung Baby" (The Blackout) e nel peggiore un pezzo scritto da Chris Martin dopo un paio di cartoni di Tavernello. Non che siano canzoni oggettivamente brutte, le avessero pubblicate gli One Republic le si potrebbe considerare quasi accettabili. Chiamatelo affetto, oppure ingenuità, ma dagli U2, pure dopo tanti anni di illusioni frustrate, ci si aspetta qualcosa di più. Anche se diventa sempre più difficile farlo.