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REVIEWSLE RECENSIONI
28/10/2021
W.H. Lung
Vanities
Vanities è un lavoro per certi versi spiazzante, anche se non così tanto, una volta assimilato a dovere. Territori Eighties, pieni di Synth e atmosfere Disco per un groove che ha portato i W.H. Lung ad accantonare parzialmente il Krautrock per lasciare più spazio alla melodia.

Non sembrano avere nessuna intenzione di campare sulla nostalgia della “Madchester” dell’Hacienda e della Factory Records. Un po’ perché non l’hanno mai vissuta di persona, un po’ perché, a detta loro, la città che fu tra gli altri di Smiths e Joy Division, non è mai stata intrappolata nel passato ma sta tuttora guardando avanti.

I W.H.Lung infatti hanno passato un sacco di tempo al White Hotel, un club della zona di Salford (un collegamento con Morrissey e compagni lo hanno comunque trovato) che negli ultimi tempi pare sia divenuto un centro propulsore della scena Disco mancuniana. A chi glielo chiede nominano anche il Derby Brewery Arm, un altro luogo cruciale di una scena viva di cui si dicono felici ed orgogliosi di fare parte.

Il disco poi l’hanno scritto a Todmortem, un piccolo centro tra Manchester e Leeds, dove hanno abitato e fatto vita comune per il tempo necessario a definire i nuovi brani. E per rimanere in tema di spazi di aggregazione, si sono praticamente installati al Golden Lion, che nonostante l’ubicazione non proprio centralissima, ha visto negli anni un’attività live frenetica, con moltissimi Dj importanti che sono passati di lì. Tra gli altri, anche il recentemente scomparso Andrew Weatherall, l’uomo dietro a Screamadelica dei Primal Scream, protagonista in quei mesi di un set che i nostri ricordano con grande entusiasmo.

Puoi passare attraverso fasi in cui la musica è veramente eccitante – ha detto Tom Sharkett, polistrumentista e responsabile assieme al cantante Joe Evans della scrittura dei pezzi – È come quella sensazione che ti prende da giovane, quando ad esempio ascolti per la prima volta i Velvet Underground e pensi che sei ossessionato da questo e che non sarai mai ossessionato da nient’altro in vita tua. Gli ultimi due anni per me sono stati così: c’è così tanta musica che non ho mai sentito prima che non ho mai smesso di esserne entusiasmato”.

A marzo 2019 avevano esordito con Incidental Music e si erano già fatti notare parecchio, tra concerti sold out e apparizioni ai festival più importanti. A inizio settembre i fortunati che hanno preso parte all’End of the Road, uno dei primi appuntamenti che contano a tenersi effettivamente nell’era Covid, ha probabilmente avuto modo di sentire qualcuna delle nuove canzoni, oltre che di assistere al loro primissimo concerto dopo questo lungo stop forzato.

Vanities è un lavoro per certi versi spiazzante, anche se non così tanto, una volta assimilato a dovere. I cinque hanno detto chiaramente di non aver voluto produrre un semplice “Incidental Music 2” e non si può che dar loro ragione, considerato quando sia difficile dare un dovuto seguito ad un disco che è piaciuto così tanto.

Se il singolo “Pearl in the Palm” aveva funzionato un po’ come brano di transizione (loro stessi lo avevano definito così), col suo ritmo ondeggiante e l’esplicito richiamo a quegli LCD Soundsystem che costituivano uno dei punti di riferimento principali all’esordio, l’inizio di “Calm Down” ci conduce in un territorio più compiutamente Eighties, con Synth preponderante, il falsetto di Joe Evans e il crescendo pulsante, ipnotico. Un’atmosfera Disco che risulta ancora più netta nella successiva “Gd Gym”, che alza i ritmi con un bel groove ed un ritornello veramente riuscito. C’è un basso che pompa tantissimo, le seconde voci in sottofondo ed un retrogusto oscuro che fa intuire come questa leggerezza dei suoni sia un semplice mezzo, che dietro ci sia molto altro.

In poche parole, a questo giro i nostri hanno parzialmente accantonato il Krautrock (qualcosa rimane qua e là, ad esempio nell’ottima “Ways of Seeing”), rinunciato alle spigolosità e a certe evoluzioni “progressive” e hanno dato molto più spazio alla melodia e alla “rotondità” del suono. L’elemento Dance rimane in primo piano, la Disco Music è sempre l’influenza più importante e costituisce l’habitat in cui i nostri si trovano maggiormente a proprio agio; allo stesso tempo però, il tutto è molto più diretto, sia nelle strutture che nelle melodie, con un certo ammiccamento al rock da stadio: valga su tutte la splendida “Showstopper”, che sembra provenire direttamente dai Simple Minds di “New Gold Dream” e “Sparkle in the Rain”, e che col suo andamento bombastico e solenne appare costruita apposta per essere una hit. Non è da meno “Figure With Flowers”, sempre con i Synth assoluti protagonisti, un altro pezzo che spinge tantissimo e che dal vivo soprattutto sarà una bomba.

Joe Evans pratica la meditazione e questo si è in qualche modo riflesso sui testi, molto personali e in generale più elaborati e profondi di quanto il genere di riferimento potrebbe far pensare: ne è un esempio pratico la conclusiva “Kaya” (che è anche l’episodio più lungo e introspettivo del lotto) che affronta la rottura della sua ultima relazione; oppure “Somebody Like” (un’altra col ritornello esplosivo) che parla di quanto sia difficile l’amore a sé. E non si può tornare a citare “Pearl in the Palm” di cui lo stesso Evans ha diretto il video, che mostra una band a proprio agio con l’elemento naturale.

Potrebbe volerci un po’ perché la nostra musica arrivi ad un pubblico più vasto ma nel frattempo va bene così, ci stiamo divertendo!”. In realtà, a giudicare dalla qualità di questo lavoro, l’esplosione commerciale sembra solo questione di tempo.