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REVIEWSLE RECENSIONI
04/03/2022
As It Is
I Went to Hell and Back
Nostalgici, familiari, effervescenti e decisamente inattesi. Gli As It Is tornano con I Went to Hell and Back, riconoscibili ma rinnovati, più brillanti, più divertenti e più maturi. Un disco che trasuda emo-pop-punk anni Duemila da ogni poro, ma in una veste attuale e variegata, che si concretizza in quello che è probabilmente il migliore album della band sino ad oggi.

Spero che I Went to Hell and Back sia come ritrovarsi con un vecchio amico. Di quelli con cui si può parlare di tutte le cose buone e di tutte le cose terribili che sono successe nel frattempo, e di come si è cresciuti di conseguenza. Noi non siamo la stessa band e sono sicuro che anche i nostri fan non sono le stesse persone che erano l'ultima volta che abbiamo pubblicato un album, ma spero che non abbiano dimenticato perché eravamo amici fin dall'inizio".

Quali parole migliori di quelle usate da Patty Walters, frontman degli As It Is, per introdurre il nuovo lavoro della sua band e far comprendere lo spirito che lo accompagna? Un po’ di back-in-time, quel tanto che basta per ricordare i tempi migliori e sentirsi di nuovo a casa, e un po’ di novità, quel tanto che basta per far vedere quanto nel frattempo si sia cambiati… e forse ritrovarsi migliori di prima.

 

I Went to Hell and Back arriva ai fan dopo due anni di pandemia, in cui Walters si è ritrovato con una salute mentale profondamente provata, perso tra emozioni confuse e contrastanti, nell’assenza di attività fondamentali al suo benessere psichico (tournée, attività di volontariato, conversazioni con amici e sconosciuti), tanto da arrivare ad uno stato depressivo che lo ha portato per lungo tempo a dire “se mi alzavo dal letto, quello era un gran giorno”. Il disco, però, è anche il primo album realizzato in una formazione a tre, dopo che due membri di lunghissima data, fondatori della band assieme a Walters, hanno recentemente abbandonato: Benjamin Langford-Biss (chitarrista e cantante), che Walters conosceva dai tempi dell’università e con cui formava un duo inseparabile, e Patrick Foley (batterista), che ha lasciato il gruppo per realizzare il suo sogno da bambino: diventare un pompiere.

Molte cose sono quindi cambiate nel giro di pochi anni, si sono affrontate difficoltà, crisi, allontanamenti di amici, ma si sono anche celebrati momenti di gioia, come il matrimonio di Walters con la migliore amica e compagna di lunga data, Dottie. Dopo i primi album più pop punk (ever Happy, Ever After, 2015 e okay., 2017) e il passaggio a sonorità più emo e dark nel 2018 con The Great Depression, cosa avrebbero potuto realizzare? Fortunatamente la risposta è molto semplice: il più bell’album della loro carriera.

 

I Went to Hell and Back unisce tutte le anime degli As It Is in un’unica miscela sonora, che rende più potenti e centrate le formule usate precedentemente, alzando i bpm, affilando le chitarre e diminuendo una teatralità che avrebbe reso vacua la sostanza. Lo sguardo è rivolto pesantemente ai primi anni Duemila, ma rimanendo attuale, divertente, cupo, ballabile e cantabile al tempo stesso. Un mix di emo, pop-punk e post-hardcore, con l’aggiunta pure di una spruzzata di metalcore alla Bring Me The Horizon, che frulla insieme tutte le sonorità esperite nella loro carriera per andare a configurarsi in una rigenerante bevanda di 40 minuti, fatta di 14 canzoni dai toni variegati e mai noiosi, che più si ascolta più si finisce con l’amare.

Il disco è quindi una piacevolissima miscela di cupezza dalle tinte emo, riscontrabile soprattutto nei testi, unita ad una grande vivacità e varietà nelle sonorità. A seconda delle tracce tornano alla mente in maniera prepotente i Fall Out Boy dei primi dischi, ma anche gli All Time Low, gli All American Rejects, i Good Charlotte, i The Used, gli A Day To Remember e molto altro ancora (Trash Boat? Set It Off? Se siete pratici del genere, aggiungete pure altro a piacere). Insomma, tutto il meglio dell'emo-pop-punk old school che ha fatto la storia di una generazione, ma senza che vi sia stato alcun coinvolgimento da parte del solito Travis Barker, che negli ultimi anni non ha fatto altro che produrre – per Machine Gun Kelly e non solo – la stessa identica canzone, facendosi paladino di un genere che non è (solo) suo. I britannici As It Is, invece, per la curatissima produzione si sono avvalsi del losangelino Zach Jones, noto per aver lavorato con nomi del calibro di Poorstacy, Crown The Empire, Fever 333, Wstr e Lil Lotus, la cui esperienza nel dare una sferzata di modernità al suono si è fatta sentire.

 

Se poi la giostra dei nomi e dei riferimenti non fosse sufficiente, o se vi fosse qualche dubbio sul concetto di “suono pesantemente emo-punk anni Duemila” e su quanto sia praticato con coerenza e auto-ironia, nessun timore, basta iniziare ad ascoltare “I Miss 2003” per avere tutte le conferme del caso. Se le altre canzoni dell’album sono forse più belle e i pezzi forti sono altrove, questa è però una traccia che rimane iconica per il messaggio nostalgico e al tempo stesso gioioso che porta: una lettera d’amore alle band che hanno acceso un fuoco dentro in gioventù, scritta utilizzando pezzi di testi e titoli di alcuni dei gruppi che hanno contribuito a rendere gli As It Is quello che sono. My Chemical Romance, All American Rejects, The Used, Jimmy Eat World, New Found Glory, Good Charlotte e molti altri sono menzionati in maniera più o meno palese per tutto il brano, che riprende anche nel video – realizzato in una pista da skate – tutto il migliore sentimento dell’epoca. Come racconta a riguardo Walters stesso: “Se c'eravate, speriamo che questa canzone vi riporti indietro, e se ve lo siete persi, speriamo vi faccia sentire come se aveste vissuto tutto con noi".

Menzione speciale va invece alle due chicche dell’album: “I’m Sick and Tired” e “I Wanna See God”, dove gli As It Is diventano davvero esplosivi, intensi e veloci, mostrando quella che potrebbe essere una delle prospettive future su cui sarebbe interessante vederli misurarsi. Particolarmente coinvolgente la quaterna inziale di “IDGAF”, “I Lie To Me”, “Ily, How Are You?” e “IDC, I Can’t Take It”, che prendono maggiormente le mosse dall’album precedente ma vestendosi di una nuova brillantezza. Riuscite anche le due collaborazioni presenti, che sparigliano un po’ le carte e offrono un ventaglio alternativo di sonorità: da un lato con Cody Carson dei Set It Off e il rapper JordyPurp sulla cupa e più sperimentale “In Threes”; dall’altro con Telle Smith dei The Word Alive sulla penultima “I Can’t Feel a Thing”, dai forti richiami ai Bring Me The Horizon. Perfetta la delicata chiusura di “I Went to Hell and Back”, che chiude con eleganza il disco. Ultima nota positiva alle pelli e ai tamburi, perché su disco, in sostituzione di Patrick Foley, c’è lo stesso Patty Walters, che è riuscito ad essere convincente non solamente a livello vocale ma anche alla batteria, dimostrando una volta di più quanto in questo album ci sia per lui anima, sangue, sudore e un gran pezzo di cuore.

 

Sono andato all’inferno e ritorno perché il paradiso era troppo lontano” (“I Went to Hell and Back”)

 

Nostalgici, familiari, effervescenti e decisamente inattesi: riconoscibili ma rinnovati, più brillanti, più divertenti e più maturi. I Went to Hell and Back suona davvero – non solo per chi l’ha creato, ma anche per chi lo ascolta – come un vecchio amico, di quelli che si ricordano chi eri, che ti sono stati accanto nei momenti peggiori ma hanno anche riso con te in quelli migliori, quelli che sanno come sei quando piangi, ma anche quando balli.

 

"La musica ti ricorda che non sei solo. Non sistemerà le cose, ma a volte è sufficiente sapere che altre persone capiscono". (Patty Walters)