Two, Geography, il secondo disco degli Any Other, usciva quattro anni fa. Fu un lavoro importante nel definire le coordinate stilistiche di uno dei gruppi più “esportabili” della scena italiana (non a caso girano spesso oltre confine) ma fu anche l’ultimo prima della pausa indefinita che la pandemia ha contribuito a creare. C’è stato questo, effettivamente, perché per una realtà come la loro, se non suoni dal vivo è anche inutile pubblicare album. C’è stato però anche il desiderio di seguire altri percorsi: Marco Giudici ha realizzato Stupide cose di enorme importanza, il suo debutto da solista, oltre a dedicarsi all’attività di produttore, com’è sua abitudine (ha lavorato, tra le altre cose, al bellissimo EP di Marco Fracasia del quale ho parlato qualche mese fa). Adele, che ha da poco cambiato il suo cognome in “Altro”, ha invece accettato la sfida di comporre la colonna sonora di Limoni, il podcast della giornalista di Internazionale Annalisa Camilli dedicato al G8 di Genova vent’anni dopo quei drammatici fatti. È passato quasi inosservato (io per lo meno non me n’ero accorto, pur avendo ascoltato tutte le puntate all’epoca dell’uscita) ma è anche così che funziona, come lei stessa ci ha spiegato: sei dietro le quinte, porti la tua arte al servizio di un qualcosa che è in primo piano. Ci sei ma allo stesso tempo non ci sei, l’efficacia, si potrebbe azzardare, si misura da quanto riesci a mantenerti invisibile, a fonderti con le parole del narratore e ad entrare sotto la pelle dell’ascoltatore.
Adesso, ad un anno di distanza, quel lavoro viene reso disponibile, dovutamente riarrangiato e rimodulato, anche in versione autonoma: Tentativo sono 15 minuti di musica, dove la componente Ambient si sposa con la più tradizionale propensione di Adele alla melodia di stampo Alt Folk, senza disdegnare un uso massiccio del sassofono, strumento che suona da sempre, soprattutto quando è in tour con la band di Colapesce. Dura poco ma rappresenta una sorta di nuovo inizio, l’apertura di orizzonti inediti, la consacrazione di un lavoro di composizione e produzione che svolgeva già da parecchio tempo e, perché no, la base ideale per riprendere il discorso di Any Other, quando verrà il momento.
Di questo e altro abbiamo parlato nella nostra chiacchierata telefonica di qualche giorno fa.
Partirei dal chiederti come è successo che ti sei coinvolta nelle musiche di Limoni. Pensa tra l’altro che, pur avendo ascoltato il podcast all’epoca dell’uscita, non mi ero assolutamente reso conto che la colonna sonora fosse tua…
Eh può succedere (ride NDA)! Sono stata messa in contatto con la produzione da Jonathan Zenti, amico e conoscente di Verona, città da cui provengo, che lavora da sempre nell’ambito audio documentaristico, e ha seguito tutto l’aspetto tecnico programmatico di Limoni. Mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto partecipare alle musiche del podcast e sapendo di cosa si sarebbe parlato mi sono parecchio esaltata. Nel 2001 avevo 7 anni e capivo ben poco di quel che stava succedendo. Col tempo mi sono ovviamente resa conto di quelle vicende e sono rimasta toccata. L’ho presa dunque come un’occasione da cui potere imparare qualcosa di storico a riguardo e anche e soprattutto perché non mi ero mai cimentata con un lavoro di questo tipo, un lavoro di composizione puro. Le musiche le ho composte a Podcast non ancora ultimato, mi hanno dato solo delle indicazioni generali di mood e intenzione, però è stato proprio un partire da zero, con libertà, nonostante dovessi stare dentro dei binari. È stato un lavoro pieno di contraddizioni ma anche molto stimolante.
Il passaggio da Limoni a Tentativo com’è avvenuto?
Una volta che il podcast è uscito mi sono resa conto di aver imparato che nel fare questo tipo di lavoro non è la musica il focus principale, come quando si fanno i dischi o le canzoni, l’approccio che si deve avere è di accompagnamento, la composizione non deve essere esageratamente ricca, il mix va affrontato in modo tale che la musica sia di supporto a quello che si sente, ecc. Allo stesso tempo però ero molto fiera, molto soddisfatta, tanto che mi dispiaceva lasciarla lì. Ho così deciso di recuperarla, di sistemarla, l’ho un po’ riscritta, riarrangiata, remixata, cercando di renderla una composizione ascoltabile di per sé, a prescindere dal contesto in cui è stata scritta. Poi, siccome era la prima volta che mi cimentavo con una cosa del genere, si trattava letteralmente di un tentativo di fare qualcosa di diverso dal solito, quindi ho deciso di chiamarlo così.
Ho visto che hai mescolato la componente più puramente Ambient con quella più melodica, ci sono dei temi decisamente orecchiabili. Volevo chiederti se questo lavoro così diverso rispetto alla scrittura canonica andrà ad influenzare in qualche modo le tue cose future.
È vero che in diverse tracce ci sono delle cellule melodiche abbastanza rilevanti, credo che sia dovuto al tipo di composizione a cui sono normalmente abituata, vale a dire scrivere canzoni, melodie, cose cantabili utilizzando uno strumento solo, che sia la voce, il sassofono e così via. Nello stesso tempo però c’è un forte elemento Ambient nel senso stretto del termine: una musica d’ambiente, di accompagnamento, che ti segue nel momento in cui la tua attenzione è avvolta da qualcos’altro. Poi devo dire che negli ultimi anni (l’ultimo disco è uscito nel 2018), un po’ per la pandemia, un po’ per i casi della vita, mi sono dedicata tanto a lavorare per altri, soprattutto producendo cose. È stato un periodo in cui mi sono dovuta concentrare su quello che sta intorno, non su quello che sta davanti. Ed è stato probabilmente utile per me, perché mi ha obbligata a dover considerare questo aspetto della musica come un qualcosa che può stare in piedi anche da solo. Quindi sì, è un fattore che mi rimane dentro, poi in realtà è tutto insieme perché suoni, scrivi, produci, il filo conduttore alla fin fine sei sempre tu.
Marco Giudici, l’altra metà di Any Other, è anche un produttore esperto. Ti ha dato una mano per questo progetto?
In Any Other Marco non si è mai occupato della produzione, però è vero che se all’inizio i nostri ruoli erano ben definiti, nell’ultimo periodo tendiamo ad influenzarci a vicenda. Poi è evidente che anche se con Any Other non ha mai fatto il produttore in senso stretto, la sua presenza mi ha indubbiamente influenzata, sia per la sua profondità artistica e creativa, sia per l’aspetto umano (perché siamo amicissimi). È stato piacevole in questo lavoro averlo a fianco come fonico, che è una cosa che non era mai successa prima: mi serviva uno che facesse il fonico in pianta stabile e mi è venuto naturale chiedere a lui.
Avete registrato a casa oppure in studio?
Abbiamo registrato nel piccolo studio che abbiamo qui a Milano. Diversamente dal solito, tante cose le ho fatte utilizzando sintetizzatori, scrivendo dai Beat, cosa che non avevo mai fatto, e anche affrontando il suono in un modo diverso: sono stata sempre molto interessata al missaggio ma se poi le cose suonavano bene o male non mi ha mai importato molto; adesso invece ho messo molta più attenzione ai dettagli ed è stato sicuramente utile avere Marco al mio fianco perché lui sulla cura del suono è molto più concentrato di me.
Hai utilizzato molto il sassofono, una scelta che ho apprezzato molto. So che è un po’ il tuo strumento, visto che lo suoni sin da quando eri piccola. Volevo chiederti se questo lavoro sia stata un’occasione per riscoprirlo.
Sicuramente quando lo suono dal vivo per altri c’è un approccio diverso rispetto a quando lo uso nei miei lavori: qui potevo renderlo lo strumento melodico principale e mi è piaciuto poterlo fare. Sai, essendo abituata ad usare il “gettone voce” sono stata anche costretta, invogliata, a trovare un uso degli strumenti che di solito non faccio. Poi in sé mi piace molto suonare il sax in modo classico, super melodico.
La copertina, con quella pianta un po’ dimessa, mi ha colpito molto.
Non è stata una mia idea ma di Jacopo Lietti (Fine Before You Came, NDA) che si è occupato della grafica. Quando gli ho chiesto di realizzarla, unitamente a tutto il lavoro per l’artwork, gli ho dato carta bianca perché è bravissimo e ha un gran gusto. Ha trovato questa immagine della pianta che mi è piaciuta molto: non è rigogliosa, è un po’ triste, un po’ sfigata e mi è sembrato che rispecchiasse bene il mood, o comunque la mia intenzione, rispetto a questa cosa che ho fatto uscire. È una cosa del tipo: “La voglio far uscire, probabilmente non è perfetta ma mi soddisfa così”. Quell’immagine mi dava quella sensazione: non è la pianta più bella del mondo ma va bene così, anche perché non deve essere tutto per forza di cose una bomba, no?
Sì, funge da contrasto con la narrazione trionfalistica di questi ultimi anni, soprattutto a mezzo Social, che però nasconde una grande paura e anche un po’ una disperazione, secondo me. Basterebbe dire che quello che si fa è quello che si fa, senza caricare troppo…
È una posizione che condivido, ci sono tanti modi e tanti scopi nel fare musica, cercare di adattarci tutti ad un unico standard è sbagliato, non fa bene a nessuno, né a chi la fa, la musica, né a chi ne fruisce. Se la bellezza di qualcosa sta anche nel suo essere grezzo, allora è giusto che sia grezzo.
Quest’estate hai preso parte al tour di Colapesce e Dimartino. Ho assistito alla data del Castello Sforzesco e mi sono divertito molto. Che cosa ha rappresentato per te questa esperienza?
Più che l’esperienza in sé, ero quasi terrorizzata all’idea di suonare dal vivo, mi sono resa conto di quanto in fretta ci si possa disabituare alle cose! All’inizio infatti ero molto in ansia, mi chiedevo: “Sarò ancora in grado di fare qualcosa?” Salvo che poi la data di Milano è stata quella dove ho suonato peggio perché c’era la mia famiglia, i miei amici, mi stavo cagando sotto e quindi vabbè (ride NDA) però ogni volta che suono a Milano è così, ormai l’ho messo in conto… comunque è stato un tour molto bello, mi ha fatto piacere che mi sia stata data un’altra volta l’occasione di ricoprire dei ruoli per me rilevanti (chitarra solista, sax, voci) e poi la cosa positiva è che nonostante la dimensione più grande di un tour come questo, le persone che ci lavoravano erano molto famigliari: con Lorenzo (Colapesce NDA) è da anni che lavoriamo assieme, anche con 42Records; inoltre è stato bello conoscere meglio Antonio (Dimartino NDA) con cui non avevo mai avuto la possibilità di suonare e vedere quanto sia bravo come musicista, è stato veramente figo e stimolante. Anche gli altri due ragazzi, Alfredo Maddaluno (tastiere e Synth) e Andrea De Fazio (batteria), sono degli amici, quindi dal punto di vista umano è stato bello. È stato impegnativo, certo, perché venivamo da due anni di abisso, però è stato bello e ci ha fatto sicuramente bene.
Io comunque ricordo un gran bel concerto, anche se forse il suono non era proprio ottimale.
Lì è così, sono andata a vedere diverse cose da spettatrice e ho avuto la stessa sensazione, suonandoci poi ho capito che bisogna rispettare dei limiti di decibel, credo sia una sorta di compromesso dovuto alla posizione: è un posto fighissimo ma ci sono per forza di cose dei sacrifici da fare…
Questa cosa di te che vai ai concerti (in effetti mi è capitato di incrociarti in qualche occasione) è interessante, per quanto possa sembrare banale: in passato ho letto dichiarazioni di tuoi colleghi che dicevano di non aver mai tempo e voglia di andare a sentire qualcosa, essendo spesso impegnati con le loro date…
Dipende anche dal periodo: quando sei in tour anch’io faccio fatica, nel tempo libero, ad ascoltare ancora musica. C’è purtroppo da dire che quando la musica diventa il tuo lavoro è anche una rottura di palle, hai sempre qualcosa nelle orecchie e c’è quindi bisogno di staccare, anche in maniera totale. Nei periodi in cui non ho un tour che incalza o lavori che mi friggono il cervello, invece è un piacere andare ai concerti; è bello ma è anche una questione didattica, per così dire, è molto più utile imparare guardando gli altri che farlo da solo.
Domanda scontata ma è anche una curiosità mia: immagino che il progetto Any Other avrà un futuro, vero?
Assolutamente sì. Per me è stato utile pubblicare questo disco a nome Adele Altro, per fare una distinzione di cassetti. Any Other è un progetto in un determinato formato, in una determinata lingua, mi serve anche per poter andare in giro a suonare fuori dall’Italia, adesso sentivo il bisogno di avere un altro posto dove mettere quel lavoro che faccio e che è molto diverso da quello. Sento molto la mancanza di Any Other, dopotutto sono quattro anni che non faccio un disco.
Quindi c’è qualcosa in cantiere?
Mentirei se ti dicessi che sto facendo un nuovo album, però sarebbe altrettanto strano se in quattro anni non avessi combinato niente! Tendo a non farmi fretta perché per me è veramente importante la dimensione del tour, soprattutto all’estero: pensare di fare uscire un disco senza andarlo a suonare mi uccide! Aspetto di sentirmi sicura anche da questo punto di vista, non voglio dire niente a voce alta perché sono scaramantica però non è che in quattro anni io non abbia fatto niente, oltretutto è diverso tempo che lavoro per altri, mi manca tanto pubblicare qualcosa di mio!
Mi piace questa tua posizione: dopotutto ho sempre pensato che l’artista vero esce quando è pronto, quando ha qualcosa da dire, non ho mai sopportato questa logica di mercato per cui bisogna per forza pubblicare un singolo al mese.
Sono d’accordo, però bisogna anche dire che siamo tutti persone che fanno le cose in maniera diversa, anche a livello di velocità. Ci sta che finché non ti senti pronto tu non esca, poi è anche vero che siamo musicisti di mestiere: io probabilmente adesso posso anche permettermi di stare ferma perché riesco comunque a lavorare facendo altri progetti.
Per concludere una curiosità (se posso, perché magari è una questione personale): ma hai proprio cambiato cognome? Perché dall’estate scorsa ho iniziato a sentir parlare di te come “Adele Altro” e mi è venuto qualche dubbio.
Le motivazioni sono personali però sì, ho cambiato legalmente cognome, ormai un anno fa e ti dico che questa cosa mi sta dando molta gioia e leggerezza nel vivere, quindi è proprio bello!