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REVIEWSLE RECENSIONI
26/08/2022
Motorpsycho
Ancient Astronauts
Un disco di passaggio, che non sarà certo ricordato sulla lunga distanza, eppure allo stesso tempo intenso, spontaneo e a tratti anche ispirato, con tutte le carte in regola per farsi amare dagli appassionati di questo genere di sonorità.

La vicenda, per sommi capi, è questa: nel periodo della pandemia, non volendo lanciarsi nell’iniziativa dei concerti in streaming che tantissimi dei loro colleghi stavano invece dimostrando di apprezzare, i Motorpsycho, una band che è semplicemente impossibile immaginare senza la dimensione live, ha iniziato una collaborazione col teatro norvegese De Utvalgte, per poter realizzare un prodotto che si avvicinasse ad un concerto ma che incorporasse al suo interno anche elementi visivi di vario tipo. Al momento non hanno concluso nulla ma è probabile che, qualora dovesse uscire qualcosa, si baserà in parte sull’altro sodalizio risalente a quel periodo, vale a dire quello con la Impure Dance Company.

Di questi ultimi avevamo parlato all’epoca dell’uscita di All Is One, perché la lunga suite contenuta al suo interno, si basava su una performance intitolata “Sacrificing”, realizzata da Homan Sharifi e dalla compagnia di cui sopra.

Il trio norvegese aveva composto le musiche di questa piece ispirata ai riti di primavera, che era stata anche portata in scena, nel momento del primo allentarsi delle restrizioni dovute alla pandemia. Una manciata di rappresentazioni in un luogo piccolo, per poche centinaia di persone. In quell’occasione il De Utvalgte ha effettuato delle riprese che verranno verosimilmente utilizzate per quel primo progetto di cui si è già detto (la copertina ne è una sorta di anticipazione, fa parte del footage realizzato nella località di Skottbu, sempre in Norvegia).

Nel frattempo, in sala era presente anche Deathprod, dapprima membro della band, in seguito stimato compositore elettronico, che a quanto pare si è preso bene al punto tale da voler lavorare di nuovo coi suoi ex compagni, questa volta nelle vesti di produttore.

 

Questa, in estrema sintesi, la successione di eventi che ha portato ad Ancient Astronauts, quinto disco in poco meno di sei anni e (fa fede il comunicato stampa, io non mi ci metto neanche a fare i conti) diciannovesimo lavoro in studio per la creatura di Bent Sæther e Hans Magnus Ryan.

Si tratta di un lavoro più breve del solito (“appena” 43 minuti), che in grandissima parte contiene materiale composto per “Sacrificing” e non ancora fissato su nastro. Nello specifico parliamo di “Mona Liza/Azrael” e della lunga e conclusiva strumentale da venti e passa minuti “Chariot of the Sun to Phaeton on the Occasion of Sunrise”. A queste tracce se ne aggiungono altre due: l’iniziale “The Ladder” e la brevissima “The Flower of Awareness”, che è poco più di un momento di passaggio tra la prima e la terza traccia.

Insomma, uno schema non troppo dissimile da quello già utilizzato per The Crucible (2019), che conteneva brani in parte provenienti dalle session del precedente The Tower.

 

Una band prolifica, i Motorpsycho, e difatti basterebbe questo per sbrigare la pratica recensione e rispondere alla domanda: “Vale la pena ascoltarlo?”. Il fatto è che questi qui sfornano un disco all’anno e da almeno 15 stanno ripetendo fino allo sfinimento la stessa formula, con esiti sempre sopra alla media ma con un effetto sorpresa oramai inesistente. Se non siete fan è inutile perderci del tempo: l’attuale panorama musicale è troppo frenetico e affollato per poter pensare di dedicarsi ad un’uscita del genere. Per capire e apprezzare i Motorpsycho bastano la manciata di album che chiunque dei loro ammiratori vi indicherà senza esitazione (c’è unanime consenso in materia, non c’è bisogno che li scriva qui); tutto il resto è un optional, per carità bellissimo, ma è realistico che non sia per tutti.

 

Potrei terminare qui, ma consentitemi di entrare un po’ di più nello specifico: rispetto a Kingdom of Oblivion questa nuova release è decisamente superiore, occorre dirlo. Il gruppo (privo del membro esterno Reine Fisk, bloccato a Stoccolma dalla pandemia) si è trovato in studio nell’estate del 2021 e ha registrato in presa diretta, con l’aggiunta successiva di pochissimi overdub. Con loro Deathprod, che anche se non è specificato nei credit in mio possesso, dovrebbe avere avuto un ruolo preponderante soprattutto in “Flower of Awareness”, inquietante e claustrofobica, completamente basata sui Synth.

Una modalità di approccio, quindi, molto vicina a quella che i nostri mettono in atto in sede live, la loro, e chi li ha visti anche solo una volta sa quanto sul palco abbiano davvero pochi rivali. Ecco dunque che, se prescindiamo dall’opener “The Ladder”, un déjà vu continuo e a tratti fastidioso, dal riff iniziale alle linee vocali, passando per la parte solista col solito andamento Fuzz, possiamo anche dire di avere in mano alcune delle cose più belle degli ultimi Motorpsycho.

“Mona Liza/Azrael” è un bel compendio del lato Folk inglese del trio, tappeto di tastiere, melodia di ispirazione medievale, il basso che ricama linee decise durante le strofe, un tocco di Canterbury Sound e una seconda parte di improvvisazione psichedelica a ritmo più sostenuto, con le solite ritmiche pesanti, gli assoli minimali e il Synth che apre squarci melodici nel finale.

La conclusiva “Chariot of the Sun…”, come dicevamo, chiude il lavoro coi suoi 22 minuti, e da sola occupa in pratica la metà dello spazio disponibile. Se c’è un dato inusuale, è che non ricordo abbiano realizzato una composizione strumentale così lunga in passato (ci sono solo dei vocalizzi qua e là), per il resto è tutto come da copione, con una struttura a sviluppo lento e graduale, dagli iniziali accordi di chitarra con tappeto di tastiere, ai riff Stoner che sfociano in un trip psichedelico dilatato a dismisura, con variazioni minimali e spesso impercettibili, la chitarra solista che lavora in sordina sotto l’ossessiva sezione basso/batteria. Un mood non molto diverso dalla sezione centrale di “N.O.X.” e vicinissimo alle lunghe improvvisazioni in cui i nostri amano lanciarsi dal vivo (e di fatto qui non è difficile immaginarseli mentre fanno la stessa cosa).

Un disco di passaggio, che non sarà certo ricordato sulla lunga distanza, eppure allo stesso tempo intenso, spontaneo e a tratti anche ispirato, con tutte le carte in regola per farsi amare dagli appassionati di questo genere di sonorità.

 

P.S. Il voto è così alto semplicemente perché per me loro sono una malattia.