Prima di addentrarci tra i solchi di In Between, ultimo lavoro dei Feelies, è opportuno spendere qualche parola sulla loro straordinaria e altrettanto discontinua vicenda artistica. E’ il 1977 quando cominciano a farsi notare nel club più vitale e simbolico del Punk e della New Wave newyorkese, il CBGB’s, l’apprendistato che ogni band vorrebbe evidenziare nel proprio curriculum soprattutto quando si ha la fortuna di esibirsi tra una performance di Patti Smith e un’altra dei Ramones. Qui conoscono e frequentano anche i Television di Tom Verlaine, la band che più di ogni altra influenzerà il loro sound insieme agli amatissimi Velvet Underground e Stooges dei quali sono soliti riproporre alcune cover. Crazy Rhythms, il primo 33 giri, arriverà sono qualche anno più tardi, nel 1980, aggiungendosi ad una sfilza di esordi tra i più brillanti di tutta la storia del Rock: X, U2, Dead Kennedys, Echo & The Bunnymen, Jim Carroll, Dexy's Midnight Runners, Bauhaus, Psychedelic Furs. Niente male come inizio di decennio considerando che l’80 è, tra l’altro, l’anno di Remain In Light, The River e della riscoperta del Soul e del R’n’B per merito di The Blues Brothers. Quantità, qualità e varietà di stili in aperta contraddizione alla vulgata che vorrebbe gli eighties anni di passaggio abbastanza trascurabili. In questo fervente contesto musicale i Feelies non sfigurano affatto, anzi mettono d’accordo tutti, la critica stravede per loro e le radio dei college cominciano a trasmettere le prime hits. Sono canzoni che suonano modernissime ma anche di facile presa, ed inaugurano un nuovo stile, lo stile Feelies. Anche il look è completamente diverso, si presentano in scena abbigliati da perfetti nerd: occhiali da vista appariscenti, polo e maglioncini scollati. All’aggressività del Punk preferiscono un chitarrismo gentile per quanto frenetico ed irrequieto con i due frontman, Glenn Mercer e Bill Million, in continuo dialogo sostenuti dal drumming preciso ed ogni presente dell’ex Pere Ubu Anton Fier. Fino a questo punto sembra il resoconto di un inizio carriera destinata al successo, così non sarà. La band si scioglie subito dopo anche a causa dei dissidi con l’inglese Stiff Records che distribuisce poco e male il disco. Fier, si unirà presto ai più sperimentali Lounge Lizards per poi dare vita con Bill Laswell ai Golden Palominos, mentre Mercer e Million si affaccenderanno in vari progetti fino ad arrivare al 1985 quando decideranno di riformare la band con l’ingresso in pianta stabile della bassista Brenda Sauter e del batterista Dave Weckerman. L’operazione produrrà il grosso della loro discografia: The Good Earth (1986), Only Life (1988) e Time For A Witness (1991). Questi tre album certificano definitivamente la grandezza dei Feelies evidenziando anche il ruolo che ebbero nell’influenzare gruppi essenziali degli 80 come R.E.M., Violent Femmes e Smiths. Nonostante i numerosissimi attestati di stima, anche fattivi - è Peter Buck che produce The Good Earth, Lou Reed li vuole con sé nel tour del 1988 – la band non riuscirà mai ad oltrepassare i confini dei circuiti alternativi e quindi, inevitabilmente, arriverà un secondo scioglimento. Fine della storia, inizio del mito nel ristretto novero delle band che hanno cambiato il corso della musica Rock. Mercer intraprende una sterile carriera solistica mentre di Million si perdono le tracce. Un’empasse che perdurerà fino al 2011 quando, del tutto a sorpresa, i Feelies torneranno con un nuovo leghtfull: Here Before. L’effetto capsula del tempo funziona alla perfezione, la band suona esattamente come un paio di decenni prima con la stessa pigra compostezza esteriore, lo stesso fuoco che li divorava dentro quando, ad uso delle nuove generazioni, si fecero traghettatori dell’originalità deviata dei Velvet Underground. Così oggi In Between: undici nuove composizioni che riaffermano la classe cristallina e l’indomita coerenza della band newyorkese. Il disco è godibilissimo, le piacevolezze minimaliste ed acustiche di Turn Back Time e Stay The Course, il riff ossessivo di Been Replaced, oppure Gone, Gone, Gone, spensierata cavalcata elettrica tutta da canticchiare. In ultimo il brano più bello, la lunga reprise della title track, quasi un testamento sonoro in cui tutti i tasselli del geniale Post/Punk dei Feelies trovano la giusta collocazione. Sintesi esaustiva delle avanguardie dei sixties come dei sommovimenti settantasettini. Buone nuove dunque: la rivoluzione pacifica dei Feelies è ancora in atto.