I padovani Grigio Scarlatto appartengono a quella fetta non particolarmente abbondante di gruppi che, pur giovanissimi, ha scelto di guardare molto indietro nel tempo, nell’individuare le proprie fonti d’ispirazione. Dal nostro punto di vista, è un’altra gradita conferma del fatto che non c’è nessun automatismo tra l’età anagrafica e il genere di musica ascoltata, e la cosa in qualche modo è vera anche in Italia, paese da sempre in prima fila nel seguire le mode.
Antiuomo, il loro disco d’esordio, è uscito nell’agosto del 2020, in un periodo in cui eravamo paradossalmente troppo impegnati a riprenderci quella poca libertà che ci sembrava di poter avere indietro, per accorgerci di tutto quello che continuava ad uscire ogni venerdì. Per fortuna i nostri sono andati avanti, e dopo una manciata di singoli di assestamento sono arrivati i due EP T9, l’ultimo dei quali è uscito giusto qualche settimana fa.
Operazione quasi anacronistica, quella del titolo, in un periodo in cui questo piccolo ma fondamentale upgrade dei nostri telefoni è ormai dato per scontato al punto da non pensarci più. Qui i nostri lo prendono e lo rendono parte di una sorta di metafora sulla navigazione, alla stregua di uno strumento che ci aiuti a trovare una via. E se, al contrario, fosse causa e conseguenza di una modernità sempre più affidata all’impersonalità dei nostri strumenti digitali e sempre meno al libero arbitrio dei singoli?
Comunque stiano le cose, il trio veneto confeziona ancora una volta un prodotto affascinante, che rilegge i canoni dell’Indie Rock in maniera sufficientemente personale, se non altro nel modo di combinare insieme elementi sonori differenti, sintetizzandoli in brani che riescono a dire tutto quel che devono dire nell’arco dei canonici tre minuti.
Quattro canzoni come nel primo volume, un minutaggio leggermente inferiore (poco meno di 13 minuti) ma un insieme nel complesso più a fuoco, dove la spontaneità e la semplicità generale degli arrangiamenti si combinano con un filotto di ritornelli tutti clamorosamente indovinati.
Che sia l’up tempo incalzante e quasi Punk di “Corny”, le suggestioni Jangle di “Kiss Kiss” (con una chitarra che fa molto Johnny Marr), il romanticismo vagamente drammatico di “5mila”, o la virata psichedelica di “Frappè” (dove l’impronta dei concittadini Post Nebbia è molto più che evidente), questo T9 vol.2 è un lavoro semplicemente delizioso, dove tutto è costruito a meraviglia e non ci si annoia mai.
Complimenti a Giovanni Stocco (voce e chitarra), Marco Gomierato (basso) e Sotirios Papastefanou (batteria) per aver dimostrato che non esiste musica troppo datata, quando a suonarla sono ragazzi appassionati che ne fanno la cifra esistenziale del loro presente.