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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
Down On The Corner
Creedence Clearwater Revival
1969  (Fantasy)
ROCK
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27/02/2023
Creedence Clearwater Revival
Down On The Corner
Una canzone allegra e solare, che afferma un principio tanto semplice quanto verace: bisogna riportare la musica in strada, in mezzo alla gente, per riscoprirne così la vera essenza, che è aggregazione e divertimento.

Uscito il 2 novembre del 1969, Willy And The Poor Boys scala le classifiche americane e vende un milione di copie, certificando in modo definitivo la grandezza dei Creedence Clearwater Revival, l’unica band al mondo capace di pubblicare tre album di fila nello stesso anno e tutti a cinque stelle. Manifesto dello swamp rock, Willy And The Poor Boys proietta il passato nel futuro, è un disco classico e al contempo avveniristico, suona naif ed esuberante, ma è tinteggiato anche di sfumature dark, che risentono dei tempi funestati dal doloroso conflitto del Vietnam.

Le grandi canzoni si sprecano: Don’t Look Now vibra d’amore per Elvis Presley, reinventato in chiave country folk, la gemma hard rock di Fortunate Son indica che il revivalismo di Fogerty sa sposarsi anche con la stretta attualità, è un brano fortemente antimilitarista, che sbertuccia il mal vezzo dei figli di ricchi, di notabili e di militari di imboscarsi per evitare la leva obbligatoria. Un scelta di barricata, audace e ironica, che si innesta nella querelle politica dell’epoca, come una decisa presa di posizione a favore della working class (“It ain't me, it ain't me, I ain't no senator's son, son.It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no”). Chiude una scaletta di straordinaria intensità, Effigy, ballata elettro acustica dall’incedere crepuscolare, che pur non rientrando fra i brani più popolari della band, è senz’altro uno degli episodi più riusciti della carriera di Fogerty. La chitarra del leader guida la band in sei minuti in cui si coagulano melodramma, amarezza e innovazione. E’ uno scarto riuscitissimo rispetto alla formula collaudata del revivalismo, un lungo lamento, epico e tristissimo, che segnerà in futuro il songwriting di Neil Young o quello di un antieroe misconosciuto, ma geniale, chiamato Jason Molina.

E’, però, l’iniziale country rock della solare Down On The Corner (brano richiamato dalla copertina del disco) ha esplicitare il contenuto di quello che potremmo definire una sorta di concept album: riportare la musica in strada (“Down On The Corner, Out in the street”), in mezzo alla gente, riscoprirne così la vera essenza, che è aggregazione, condivisione, divertimento e stare insieme. Niente intellettualismi, dunque, la musica è solo genuinità, purezza, è il linguaggio semplice delle radici (“Willy and the Poorboys are playin'Bring a nickel; tap your feet. Rooster hits the washboard and people just got to smile”). Così, con un colpo di teatro geniale, i CCR diventano una jug band (band composta da suonatori di strumenti tradizionali e autocostruiti) che porta il nome del loro stesso album e che viene celebrata attraverso le note di Down On The Corner, una canzone la cui ossatura è costruita su un contrabbasso e un asse per lavare. Sono le radici, è l’essenza del suono americano.
Non è un caso che nella scaletta del disco compaiano anche due sublimi cover (Cotton Fields di Leadbelly e il traditional, anche questo passato dalle mani di Leadbelly, Midnight Special, un divertito r’n’b dal mood festaiolo) e uno strumentale, forse superfluo se decontestualizzato (Poorboy Shuffle), necessarie tutte, però, a rimarcare il concetto di una musica che per essere vitale deve tornare alle radici, alla terra del blues o alla strada dei buskers, patrimonio della gente semplice che si innamora della melodia ma fatica a comprendere i voli pindarici del movimento psichedelico, che ai tempi faceva sfracelli.

Per riaffermare il concetto esposto mirabilmente in Down On The Corner, in copertina, la "band" è così ripresa in un angolo della strada, mentre si esibisce davanti a una piccola folla, appena fuori dal Duck Kee Market. Questa posizione non aveva un significato reale, tranne che si trovava a mezzo isolato dallo studio di registrazione. John Fogerty ha sempre raccontato di non aver mai visto prima quel market, e ricorda di esserci entrato solo una volta, per curiosità, successivamente alla pubblicazione dell’album.

La canzone, che è divenuta simbolo di un certo modo di “sentire” e, quindi, suonare la musica, ha, tuttavia, avuto una genesi assai complicata. Nella sua biografia Fortunate Son: My Life, My Music, John Fogerty afferma, infatti, che il bassista Stu Cook non riusciva a suonare correttamente il basso per la canzone, e che provarono il brano, tra svariate litigate, per ben sei settimane, prima di venirne a capo, perché, a detta del cantante, Cook non riusciva a coglierne il senso ritmico.

Da questo disco in avanti, la carriera dei Creedence inizia la sua parabola discendente. Se il successivo Cosmo’s Factory (1970) mantiene alto il livello di ispirazione di Fogerty (qui, le grandi hit si sprecano), ma comincia a mostrare la corda di un suono che non conosce più sorprese, con Pendulum (1971) e soprattutto con Mardi Gras (1972) la band, orfana di Tom Fogerty attirato dalle sirene di una carriera solista che non decollò mai, arriva al capolinea e si scioglie. La storia dei Creedence Clearwater Revival è durata solo quattro anni, eppure nonostante il breve periodo di attività, i quattro ragazzi di El Cerrito sono entrati nella leggenda. E’ bastato un anno, il 1969, e tre dischi favolosi, l’ultimo dei quali, Willy And The Poor Boys, ha rappresentato l’anello di congiunzione tra passato e futuro, e ha riscritto le regole del rock’n’roll come ancora oggi le conosciamo.