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REVIEWSLE RECENSIONI
07/07/2017
THE MOONLANDINGZ
Interplanetary Class Classics
Lias Saoudi mette in pausa i Fat White Family per un appassionante tributo ai suoni della New Wave.
di Giorgio Cocco

Talvolta non conoscere i crediti di un disco può tornare utile. Lo confesso, avessi saputo prima che a questo esordio dei Moonlandingz ha collaborato Yoko Ono avrei passato la mano, senza approfondire e senza rimpianti. Parafrasando il nome di una band danese: Oh No, Ono! E avrei sbagliato, perché Interplanetary Class Classic è uno dei gioiellini del 2017, sicuramente l’ascolto più spassoso che mi sia capitato finora. Un disco folle e caleidoscopico, carico di rimandi alla New Wave super contaminata che tra i ’70 e gli ’80 vivacizzò con mille “altri suoni” la prima ondata Post-Punk. Riuscitissimo esercizio di stile in cui si cita, si ruba e si restituisce in egual misura, operazione assimilabile, per intenti e brillantezza di contenuti, ad altre band del presente come King Gizzard & The Lizard Wizard e Deerhoof.

Ma, facciamo un passo indietro e vediamo di scoprire chi sono i Moonlandingz. I nomi più noti sono quelli di Lias Saoudi (qui accreditato come Johnny Rockets) e Saul Adamczewski, voce e chitarra dei Fat White Family, Dean Honer e l’ex Fall Adrian Flanagan degli Eccentronic Research Council, la bassista Mairead O'Connor e il batterista Ross Orton (Arctic Monkeys). Poi, scorrendo la lista degli ospiti è impossibile trattenere un sorriso: Phillip Oakey (Human League), Randy Jones (Village People), Rebecca Taylor (Slow Club) e alcuni membri dei Black Lips. Producono l’album Dave Fridmann, prezzemolino dell’Indie made in USA, e Sean Lennon nei suoi studi newyorkesi (ecco perché Yoko). Un’accolita che più eterogenea non si potrebbe, vecchie glorie della Disco, garagisti doc, abitudinari del Post-Punk e dell’Indie/Pop, tutti al servizio del mattatore incontrastato dell’operazione Moonlandingz: l’indisponente, eccessivo, libidinoso frontmen Lias Saoudi. Un personaggio davvero singolare: esordi in stile Punk revival con i suoi Fat White Family, copertine sul NME, premio come migliore band emergente, live act totalmente demenziali (Lias si esibisce spesso completamente nudo mentre declina avvinghiato al microfono le specialità della casa: strampalate teorie sui regimi dittatoriali e tutto il catalogo delle devianze sessuali) infine, il flop, Songs For Our Mothers, sophomore del 2016 che avrebbe dovuto certificarne la definitiva affermazione.  

Interplanetary Class Classic arriva quindi a questo punto della carriera di Saoudi e della sua allegra combriccola ponendo solidissime basi per un futuro che potrebbe risolversi al di fuori dalla band madre FWF. Staremo a vedere. Come abbiamo già accennato il disco funziona magnificamente, laddove Songs For Our Mothers non convinceva per compiutezza compositiva, qui ce ne d’avanzo e per tutti i gusti. Il trittico iniziale stenderebbe chiunque: Vessels, danza selvaggia ed ipnotica, sembra provenire da un Best Of dei Bauhaus, l’entusiasmante Cyber/Pop di Sweet Saturn Mine ci regala il primo riff inesorabile del disco con tanto di coretti a rafforzarne il carattere ludico poi, giusto per confondere le acque, immediato cambio di registro con l’avvolgente Psichedelia di Black Hanz. Se si rumoreggiava in sala aspettando le buffonate di Lias Saoudi ora l’attenzione è obbligatoria, tre canzoni, una più bella dell’altra. Il resto della scaletta non delude con l’arrivo di altri pezzi straordinariamente evocativi: l’Electro/Rock ossessivo di I.D.S., (vi ricordate i D.A.F. di Der Mussolini?), il Pop ultra colorato dei B52’s (Neuf Du Pape), il Rockabilly urbano dei Suicide (Glory Hole). Non solo, in Interplanetary Class Classic, è facile intenerirsi in preda alla nostalgia quando partono The Rabies Are Back e Lufthansa Man (i Wall Of Voodoo ne andrebbero fieri), oppure l’incantevole ballata shoegaze The Strange Of Anna con il toccante interplay vocale tra Lias e Rebecca Taylor. In coda al disco l’ultimo colpo al cuore: This City Undone in cui non si sbaglia a tirare in ballo le articolate trame poliritmiche di Eno & Byrne. Insomma un disco travolgente e torrenziale nelle sue influenze stilistiche che potrebbe mettere d’accordo, una volta tanto, il pubblico generalista del mainstream e quello delle collezioni infinite dei dischi in vinile, quando le novità costavano diecimilalire e nelle bustone sorpresa poteva capitarti Nag Nag Nag dei Cabaret Voltaire.