Non è un lavoro semplice, scrivere canzoni. In Italia fare il musicista non è mai stato considerato un vero e proprio lavoro, il pubblico è poco educato all’ascolto e fatta eccezione per quei progetti che si muovono all’interno del circuito mainstream, di possibilità di affermazione ce ne sono davvero poche.
Luca Milani di tutto questo se n’è sempre fregato. Il suo esordio “ufficiale” risale al 2016, che è un’era geologica se si pensa alla velocità dei fenomeni negli ultimi tempi, a quanto poco ci si metta, quando la comunicazione e la stessa conoscenza della realtà è mediata dai Social Network, a passare dall’affermazione all’oblio.
Nel mio piccolo, ho l’hard disk del computer pieno zeppo di interviste e recensioni a band e ad artisti di cui avevo scritto un gran bene ma che da tempo sono spariti dai radar. Il progetto Qualunque, nonostante tutte le difficoltà che derivano dal muoversi in una dimensione “sotterranea” è invece più vivo che mai: dal 2016 ad oggi sono usciti due EP (Il primo lunedì dell’anno nel 2017 e Farmaci, nel 2020) e un disco (Shonen, a maggio), sempre con una crescita esponenziale sul fronte della scrittura e della consapevolezza di sé. A novembre è poi arrivata “Nameec”, prima traccia di quello che sarà il secondo volume di Shonen, la cui data di uscita non è ancora stata annunciata ma che presumibilmente sarà attorno a marzo.
Ho raggiunto Luca al telefono pochi giorni dopo l’uscita di “Via Disagio”, secondo singolo estratto dal disco, che nel frattempo avevo avuto modo di ascoltare per intero in anteprima. È stata un’occasione utile non solo per fare il punto sul presente e anticipare qualcosa sul futuro, ma anche per raccogliere qualche battuta su Shonen, visto che in occasione della pubblicazione del disco non eravamo riusciti a sentirci. Sullo sfondo la situazione, positiva ma non ancora del tutto decifrabile, della ripartenza del settore musicale dopo due anni di pandemia.
Mentre è appena uscito “Via Disagio”, secondo singolo estratto dal futuro Shonen vol.2, mi viene in mente che il tuo progetto è iniziato quasi dieci anni fa…
Sì, credo siano otto anni…
Ecco, mi viene da dire che non è scontato esserci ancora: tanti che hanno iniziato assieme a te oggi hanno smesso da tempo; in più, se andiamo a confrontare il tuo primo lavoro ufficiale Mafalda, il meteo e tutto il resto, con quello che è venuto dopo, si scopre che la qualità della tua scrittura è migliorata in maniera esponenziale nel corso del tempo. Hai affinato progressivamente la tua capacità di scrittura, tanto che sulla lunga distanza sei forse uno degli artisti italiani di questi ultimi anni ad avere fatto il cammino più interessante, dove hai tirato fuori tutta questa tenacia?
Mi piace fare musica, mi diverto a scrivere canzoni e non mi è ancora passata. Finché mi andrà andrò avanti a farlo e, inevitabilmente, a furia di farlo si migliora. Quando ho fatto uscire la primissima roba mia, che non esiste, era una totale autoproduzione [allude all’EP Più simili ad Hannibal Lecter che a Gesù Cristo, di fatto totalmente introvabile, NDA], era la prima volta che scrivevo una canzone ma anche il successivo era molto acerbo. Erano le prime cose che facevo: in seguito, a furia di ascoltare robe, a furia di ispirarmi alle cose che mi piacevano, prima rifacendole e poi riscrivendole alla mia maniera, a furia di smanettare con la musica, siamo arrivati a dove siamo arrivati ora. Certo, c’è stata anche la tenacia di portare avanti questo discorso: fare musica è un impegno notevole a livello di tempo, a livello economico, ci sono tante risorse da investire se si vuole uscire in un certo modo, posizionarsi in un certo modo, per cui io capisco anche chi ad un certo punto decide di smettere. Dopo otto anni ci sta che uno smetta, è anche demoralizzante, se guardiamo a tutte le dinamiche che circondano la musica emergente. Nel mio caso però, finché avrò voglia di farlo e potrò farlo, andrò avanti.
Le due parti di Shonen sono parecchio diverse l’una dall’altra: la prima era ricca di featuring e aveva di conseguenza una maggiore sfaccettatura in sede di scrittura; la seconda, che sto ascoltando proprio in questi giorni, mi sembra più lineare, maggiormente ispirata all’It Pop e anche più scarna a livello di arrangiamenti. In pratica, l’impressione è che ti sia messo più a nudo, cosa evidente anche dai testi, probabilmente i più intimi e personali che tu abbia mai scritto. In che rapporto stanno questi due volumi? Li hai concepiti insieme oppure l’idea di fare il secondo è maturata in un momento successivo?
Shonen è nato in pandemia, avevo voglia di ributtarmi nella musica, per cui ho pensato di fare tutto quello che mi fosse venuto in mente: voglio fare il pezzo Emo Rock? Lo faccio. Il pezzo Soul Indie? Lo faccio. Il pezzo con la chitarrina? Lo faccio. C’era un bisogno di buttare fuori tutto e anche un bisogno di compagnia; è nata così la voglia di chiamare le persone a lavorare insieme sui pezzi. È una roba fighissima fare i dischi di featuring, ti permette di imparare molto da quello che fanno gli altri, è un vero momento di confronto a livello musicale. Arrivati a quel punto avevo ancora qualche pezzo semi chiuso o in lavorazione, che sentivo di non dover fare uscire nel disco successivo, perché altrimenti sarebbero invecchiati troppo. Quindi l’idea iniziale era quella di far uscire Shonen con tre-quattro pezzi in più, come una specie di Digital Repack. Ho però poi capito che quei pezzi avevano qualcosa in più rispetto al primo Shonen ma non abbastanza per essere presi come una cosa totalmente a sé stante. Da qui l’idea di fare il volume 2: ci siamo trovati con Francesco Lima, che aveva prodotto alcune cose della prima parte, e a luglio abbiamo prodotto tutte le tracce che ci saranno nel disco. Diciamo quindi che si tratta di uno step a metà, tra Shonen ed un nuovo disco.
In entrambi i volumi a balzare all’orecchio è la particolare cura che hai dato agli arrangiamenti, in generale il vestito sonoro di queste canzoni è molto più a fuoco rispetto al passato. Che importanza hanno avuto in questo processo i vari produttori con cui hai lavorato?
Con Shonen ho lavorato tanti produttori diversi perché sentivo il bisogno di sperimentare. Ho conosciuto tra gli altri Francesco Lima e ci siamo trovati molto bene, c’è sempre stato un approccio molto professionale ma anche aperto alla creatività: non è uno di quei produttori che ti prende il pezzo e lo rifà come lo sente lui, c’è sempre stato molto confronto. Ci siamo sempre trovati al primo colpo e a furia di lavorare insieme abbiamo trovato un sound molto coerente tra i vari pezzi ed è uscito dunque quello che ascolterete in futuro.
Per certi versi è un disco cupo. Si parla del ruolo salvifico dell’amore ma c’è anche tanta riflessione sulla fragilità umana, sulla difficoltà di metabolizzare il dolore, è un modo di mettersi a nudo non comune, perché in genere nell’It Pop c’è anche molto di costruito. Uno come Gazzelle, che tu inevitabilmente richiami, è sincero ma per esempio una patina di esibizionismo in lui ce la ritrovo sempre.
Il riferimento a Gazzelle ci sta tutto, soprattutto su questo disco, per come vuole arrivare il pezzo e sulla costruzione strofa-ritornello. Io tendenzialmente scrivo quando ho quel magone dentro che però di default ignoro, perché tendo a sotterrare i problemi, a procrastinare il più possibile il processo di autoanalisi di quello che mi succede nella vita. Poi però ci sono dei momenti dove mi rendo conto che sto diventando apatico e quindi mi metto lì e cerco di fare questo lavoro scrivendo. Di conseguenza la fase della scrittura è sempre molto autentica perché devo arrivare al dunque con me stesso, prima ancora che con la canzone. Poi sono anche un grande romantico e quindi ci finisce dentro anche quella componente lì. Cerco di essere il più diretto e vero possibile, senza mettere troppi fronzoli, che sarebbero sicuramente d’intralcio alla scrittura.
Poi c’è l’aspetto dei manga, degli anime. Citi Dragonball, L’attacco dei giganti, e poi lo Shonen come metafora della vita, è un discorso molto interessante. Come la vedi? Un manga o un anime possono davvero salvare la vita? Oppure anche solo riuscire a renderla più bella?
In quanto opere di ingegno umano, anche un manga o un anime vogliono comunicare qualcosa, esattamente come un film o una canzone. Se una canzone può salvarti la vita, può farlo senza dubbio anche un manga. Sono presenti tra le mie passioni, ne ho voluto parlare, creare questo concept che nella prima parte contiene tante citazioni, mentre in questo secondo prevale più che altro il discorso metaforico: la rinascita, il continuare a combattere, i nemici sempre più forti, il dovere migliorare sempre per riuscire a sconfiggerli. Che poi alla fine è la vita, no? Ecco, questi nuovi pezzi rientrano maggiormente in questo tipo di metafora piuttosto che in un mero citazionismo.
Hai preso anche un po’ quell’emotività tipica orientale, che è senza dubbio diversa dalla nostra.
Può essere, alla fine sono cresciuto con fumetti, videogiochi, anime, cose così, tutta roba che arriva dal Giappone e che dunque hanno un’impostazione molto emotiva. È un aspetto della mia educazione ed è inevitabile che si ripercuota sulla mia scrittura.
Cosa succederà adesso? Ora che il discorso pandemia, salvo disastri dell’ultima ora, sembra essersi attenuato, ci sarà modo di vederti dal vivo?
La voglia di suonare c’è sempre, già prima dell’estate abbiamo fatto qualcosina in giro. Quando uscirà il disco, per tutto il 2023 pensiamo di andare in giro con il gruppo di musicisti che ho assoldato. Dopo gli anni che abbiamo vissuto c’è sicuramente tanta voglia, poi ovviamente speriamo che ci siano anche tante occasioni: questo però lo scopriremo solo vivendo.
L’ultima volta che ti ho intervistato eravamo in piena pandemia e ricordo che avevi un’opinione un po’ controcorrente riguardo alla crisi del settore musicale. Come ti sembra adesso la situazione? Com’è lo stato della musica nel 2022? Credi che ci siano sufficienti motivi di ottimismo?
Com’è lo stato della musica? Direi che va. Anzi, quest’estate ci sono stati fin troppi concerti, senza dubbio c’è stata la voglia di riprendere immediatamente, ho incontrato tantissima gente andando a vedere concerti, io e te ad esempio ci siamo beccati un sacco di volte [risate, NDA]! È stato anche figo vedere tutti quegli artisti che sono arrivati al grande pubblico durante il 2020, confrontarsi improvvisamente con una situazione live importante. Gente che è passata dallo stare chiusa in casa a riempire il Magnolia o anche qualcosa di più, se pensiamo a Blanco. È stato molto strano da vedere, penso che in generale la situazione sia positiva. Sulla sostenibilità del sistema invece sarà da capire, vedremo.