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REVIEWSLE RECENSIONI
Fuse
Everything but the Girl
2023  (Buzzin’ Fly/Virgin)
IL DISCO DELLA SETTIMANA ELETTRONICA POP
8,5/10
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15/05/2023
Everything but the Girl
Fuse
A 24 anni dall’ultimo album, gli Everything but the Girl abbinano una produzione al passo con i tempi a una serie di testi estremamente toccanti. Il risultato è “Fuse”, un ritorno in grande stile talmente riuscito da fare rimpiangere il tempo perduto.

«Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?». «Sono andato a letto presto». Non sappiamo che cosa risponderebbero Tracey Thorn e Benn Watt alla domanda che “Fat” Moe Gelly fece all’amico d’infanzia David “Noodles” Aaronson in una delle scene più iconiche di C’era una volta in America. Ma siamo sicuri che anche Fuse, un po’ come il film di Sergio Leone, che citava l’incipit della Recherche di Proust («Longtemps, je me suis couché de bonne heure»), sia un modo per gli Everything but the Girl per farci capire che sia arrivato per loro il momento di andare alla ricerca del tempo perduto.

Breve riassunto per i più distratti. Entrambi già attivi come solisti, Thorn e Watt uniscono le forze – artistiche e sentimentali – nel 1982. Iniziano pubblicando una serie di album tra il folk-pop e il jazz (Eden nel 1984, Idewild nel 1988), ma quando il remix house di “Missing” realizzato da Todd Terry (e incluso in Amplified Heart del 1994) diventa inaspettatamente un successo mondiale, il duo decide di incorporare nel proprio sound generi come deep house, trip-hop e drum’n’bass. Il risultato di questa trasformazione produce Walking Wounded del 1996 e Temperamental del 1999, due tra i loro album più riusciti e acclamati. All’apice del successo, però, Thorn e Watt decidono di ritirarsi, preferendo la quiete familiare alla luce dei riflettori (i due si sono sposati nel 2009 e hanno tre figli). Ovviamente Tracey e Benn non sono rimasti inattivi per tutto questo tempo. Lui ha fatto principalmente il dj e il produttore,  mentre lei ha pubblicato quattro album, tutti accolti positivamente. Entrambi hanno però trovato le maggiori soddisfazioni nella scrittura, tanto che Tracey Thorn (che a lungo ha tenuto una rubrica sul Guardian) nel Regno Unito è ormai un’autrice di successo, grazie al memoir Bedsit Disco Queen: How I grew up and tried to be a pop star.

Quando ormai non se lo aspettava più nessuno, lo scorso novembre Tracey e Benn hanno aperto un profilo Instagram e hanno annunciato che – dopo oltre due decenni di pausa – avrebbero ripreso a fare musica con il nome di Everything but the Girl. Il risultato è Fuse, un disco nel quale il duo, pur riprendendo musicalmente il discorso interrotto venticinque anni fa con Walking Wounded e Temperamental, mette subito in chiaro che non è interessato a soffermarsi sul passato e a vivere di facile nostalgia.

Lo dimostrano – solo per fare due esempi – un gioiello come il singolo “Nothing Left to Lose”, contraddistinto da una produzione elegantissima e assolutamente al passo con i tempi, e “When You Mess Up”, dove gli Everything but the Girl osano in alcuni momenti applicare alla voce di Tracey Thorn il tanto vituperato Auto-Tune. Una scelta all’apparenza sconsiderata, ma in realtà assolutamente funzionale alla canzone, perché è proprio quando la voce si spezza che il brano raggiunge il suo climax.

Che gli Everything but the Girl fossero un po’ dei primi della classe lo si poteva sospettare, e in Fuse dimostrano di avere studiato e di essersi costantemente tenuti aggiornati in questi anni lontani dalle scene. Un pezzo come “Interior Space”, infatti, è più James Blake dell’attuale James Blake, mentre in “Time & Time Again” e “Karaoke” il duo riutilizza con classe gli stilemi della trap, in particolar modo l’inconfondibile timbro della drum machine Roland TR-808.

E se “Forever”, “No One Knows We’re Dancing” e “Caution to the Wind” sono forse i pezzi più simili agli Everything but the Girl degli anni Novanta, senza dubbio i due brani-cardine del disco sono “Run a Red Ligh” (scritta interamente da Benn Watt) e “Lost”. Il primo è un minimale pezzo piano e voce che ricorda il jazz-pop degli esordi, graziato da una meravigliosa interpretazione di Tracey Thorn. Il secondo è invece caratterizzato da un testo in cui Thorn, con una voce più arrochita del solito, elenca una serie di perdite, in un recitar cantando che la fa sembrare una Siri dall’animo umano. E il cuore dell’ascoltatore non può non perdere un battito quando arriva la frase: «I lost my mother, then I just lost it».

Insomma, chi si aspettava un disco consolatorio e dolcemente nostalgico ha sbagliato indirizzo. Al contrario, Fuse non prova nemmeno a replicare la formula che ha fatto di Walking Wounded e Temperamental due best seller mondiali. Agli Everything but the Girl, infatti, non interessa minimamente rivestire dei panni che a un certo punto sono stati stretti a loro per primi. Preferiscono invece essere loro stessi, i Tracey e Benn del 2023, con la loro storia e il loro vissuto. Una filosofia vincente, che ha permesso loro di realizzare l’album migliore tra quelli possibili. Forse non il più bello della loro carriera, sicuramente quello più libero e avventuroso. E messa così, in noi ascoltatori sale un po’ il dispiacere per quanto ci avrebbero potuto regalare in questi 24 anni di silenzio e che invece ci siamo irrimediabilmente persi.