La Dave Matthews Band non è mai stata particolarmente prolifica in quanto a dischi in studio (dieci album finora, in trent’anni abbondanti di carriera) per cui non c’è da stupirsi che il loro ultimo tour risalga a prima della pandemia e che il nuovo Walk Around the Moon (per modo di dire, visto che è uscito a maggio scorso) sia arrivato cinque anni dopo il precedente Come Tomorrow.
Sta di fatto che l’artista di Charlottseville, Virginia, e gli incredibili musicisti che lo accompagnano mancavano dalle nostre parti dal 2019, mentre per il sottoscritto lo iato era ancora più grande, visto che li avevo visti l’ultima volta nel 2015. Bisogna comunque ringraziare che passino più o meno regolarmente dall’Europa e, soprattutto, che si fermino anche nel nostro paese: le Jam Band non sono esattamente un fenomeno popolare nel vecchio continente, figuriamoci in Italia, basti pensare che di tutti gli act possibili e immaginabili, solo i Gov’t Mule riusciamo ad ammirare con una certa frequenza.
Poi ci sarebbe anche da disquisire sul fatto se la Dave Matthews Band possa effettivamente essere considerata una Jam Band a tutti gli effetti: è vero che dilatano spesso i brani, che amano improvvisare, che cambiano sempre scaletta, però l’impressione è che per loro la forma canzone sia sempre stata più importante e che, al netto delle fughe soliste di fiati e chitarre, il focus dello show siano proprio i singoli brani.
È un Dave Matthews sorridente, quello che accoglie il pubblico del Forum; un pubblico numeroso, anche se non abbastanza per riempire la venue: il parterre presenta dei vuoti e la stessa cosa accade sugli spalti, ma non ci si può lamentare: il colpo d’occhio risulta lo stesso suggestivo e la partecipazione dei presenti è come sempre affettuosa e appassionata.
“Vivete in una città molto incasinata – ha detto il cantante dopo pochi brani, probabilmente riferendosi al traffico della Fashion Week e ai soliti ritardatari che, in perfetto stile milanese, non sono riusciti ad accettare che l’inizio dello show fosse previsto per le 20 – ma è bello avere finalmente ritrovato uno spazio tranquillo nel quale potere perdersi”.
E c’è anche tanta consapevolezza di tutto quello che è successo nel frattempo nel mondo, tra pandemia e guerre: la musica non può guarire le ferite, ma può cercare di farci stare bene per qualche ora, senza ovviamente dimenticarci della realtà esterna. È più o meno lo stesso discorso che fa all’inizio dei bis quando, come consuetudine di questo tour, si presenta da solo con la chitarra acustica: dopo una delicata “Here on Out”, suona “Singing From the Window”, l’ultima traccia del nuovo disco, raccontando di averla scritta nei primi giorni della pandemia, ispirato dall’aver letto la notizia che in Italia la gente, costretta a casa dal lockdown, si dava appuntamento per cantare dai balconi. È durata poco e lui stesso, introducendo il pezzo, sembra essere consapevole che non si tratti di una bella favola; resta comunque una fotografia indelebile di quel periodo, il pezzo è davvero molto bello e nell’economia di questo concerto si tratta di un momento significativo.
Walk Around the Moon ha ricevuto recensioni contrastanti, ma personalmente lo ritengo un buon lavoro: certo, ci sarà sempre una larga fetta di pubblico e addetti ai lavori che continuerà a fare paragoni coi primi, per certi versi inarrivabili dischi; eppure, lo stato di forma del gruppo è evidente in una scrittura fresca e dinamica, con alcuni episodi che risplendono particolarmente luminosi nelle esecuzioni dal vivo di questa sera: “Madmen’s Eyes”, preceduta da un’intro di tastiera molto suggestiva, molto efficace nel suo piglio orientaleggiante ed un ritornello orecchiabile quanto basta; “The Only Thing”, tripudio di fiati e aperture melodiche degne dei pezzi storici; per non parlare poi della title track o di una “Break Away” che ha beneficiato di una Jam particolarmente vivace.
Giustificato dunque lo spazio che che l’album si sta prendendo nelle setlist sempre cangianti di questo tour (questa sera sei brani), segno evidente che in questa band il presente ha sempre e comunque un grosso peso.
Per il resto è stata una gran serata, ma d’altronde sarebbe superfluo dirlo, visto che la Dave Matthews Band, anche dopo i vari cambi di formazione degli ultimi anni, rimane una macchina da guerra con pochi eguali, per cui va a finire che si debba sempre utilizzare i superlativi, per descrivere ogni loro performance.
Si parte con “Pig” ed è un inizio di quelli importanti, anche se la resa sonora, come spesso accade al Forum, non è delle migliori, con gli strumenti impastati e confusi, la chitarra di Tim Reynolds assente, e le tastiere di Buddy Guy (che sintetizzano il suono del violino, scelta necessaria dopo la dipartita di Boyd Tinsley) decisamente troppo alte. Migliorerà strada facendo ma purtroppo bisogna dire che musicisti del genere meriterebbero di essere ascoltati in ben altro modo.
La seconda traccia è “Samurai Cop (Oh Joy Begin)”, che è una delle migliori del non eccezionale Come Tomorrow, dopodiché arriva una sempre splendida “Funny the Way It Is”, groove, ritornello trascinante ed un Tim Reynolds che finalmente sale in cattedra per il primo assolo della serata. “Looking for a Vein” è un breve momento in cui si rallenta, un pezzo nuovo che funziona molto bene anche se molto derivativo nella scrittura.
La forma dei sette è tale che anche episodi “minori” e non eccezionali della discografia, come “Stolen Away on 55th & 3rd”, “You and Me”, “Virginia in the Rain” e “Rooftop” offrono momenti da ricordare, grazie soprattutto allo stato di forma della coppia di fiati Jeff Collins/Rashawn Ross, autentici mattatori per tutto il concerto.
Alla fine però, senza nulla togliere al devastante break con “So Much To Say” e “Too Much” una dietro l’altra, o ad una “Rapunzel” ritmicamente sopraffina, l’autentico highlight della data milanese è stato “Seek Up”, prima esecuzione assoluta in questo tour, venti minuti e passa di durata in cui succede di tutto, con tutti i componenti che a turno si mettono in evidenza, in un’alternanza continua di assoli e Jam vibranti, tenuti su da un Carter Beauford monumentale dietro le pelli. Vera summa di quel che la Dave Matthews Band è in grado di fare in sede live, spiegazione esaustiva del perché, al di là dei sacrosanti gusti personali, siamo sempre qui a parlare di una delle realtà rock più entusiasmanti in circolazione.
Non bastasse questo, in conclusione arriva pure una devastante “All Along the Watchtower” (con tanto di divertente e tamarrissimo snippet di “Stairway to Heaven” nel mezzo), che manda tutti a casa dopo quasi tre ore di concerto.
Speriamo davvero che continuino a passare da noi e soprattutto che non debba passare troppo tempo prima di rivederli.