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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
30/11/2017
Manic Street Preachers: senza pentimenti
(anti Beatles, anti R.E.M., anti Slowdive)
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Devo dire che la sfida è impegnativa.

Innanzi tutto perché scrivere due volte dello stesso argomento comporta rischi evidenti di ripetizione pur nell’indipendenza di ogni post; poi perché la forma non può avere quella freschezza oppure quella lucidità di cui sono intrise – o dovrebbero esserlo – le prime righe offerte alla lettura.

Ma siccome un gentile lettore mi ha giustamente ricordato una strofa commentando ciò scrissi alcuni mesi fa, è corretto stare al gioco, anche se apparentemente duro per taluni lettori.

Stavo studiando per l’esame di Diritto Internazionale, di pomeriggio, in sala B della Biblioteca dell’Università. Entrò qualcuno con una copia di un quotidiano del pomeriggio: titoli a caratteri di scatola di corn flakes.

Risposi a un universitario seduto al mio stesso tavolo: “almeno i Beatles non potranno mai riformarsi”.

Era il mio primo approccio ai Manic Street Preachers: nel dicembre 1980.

Confermo la mia frase, di cui non mi pento nella sua essenza perché il santino “liverpudiano” è sempre stato un mio cruccio: continuo a non condividere l’opinione generale (e questa include anche artisti che ammiro molto) su The Beatles come “belli e buoni ad ogni costo”.

Colpa di Paul McCartney, naturalmente, non di J. D. Salinger[1].

Anche dei R.E.M. non vedo l’essenzialità.

Pure degli Slowdive (rei di essersi fatti scudo di una grande canzone di Siouxsie and the Banshees per svolgere la propria attività artistica) posso fare a meno[2]: “We will always hate Slowdive more than Hitler” dichiarò Richey James.

Certo sputare su John Lennon è più efficace che accanirsi su un gruppo indie ormai negletto. Soprattutto se il bersaglio grosso è il primo.

Siete confusi? Giustamente!

Ma i miei post non sono in una pagina di Wikipedia, o sul sito internet ufficiale e quasi inutile del gruppo sotto l’ala Sony[3]: sito lugubre e burocratico, l’opposto dei siti amatoriali ma non dilettanteschi loro dedicati, sempre ardui da rintracciare.

La strofa “Risi quando Lennon fu ‘sparato’” è tratta da “Motown Junk”, canzone che dà il titolo al secondo singolo (commerciale) dei Manics.

In copertina c’è la foto di un orologio con le lancette ferme per sempre, causa bomba atomica.

Benvenui nel mondo reale, con un quadrante che sarebbe impegnativo anche per il collo di Professor Griff dei Public Enemy[4]. L’augurio che Michael Stipe morisse di AIDS è di Nicky Wire[5]. Diverso tempo dopo “ritrattato”.

Ecco: propaganda o altro poco importa.

I ministri della dis-informazione[6] Richard “Richey James” Edwards e Nicky Wire hanno sempre ben compreso la portata dei loro proclami.

Né il verbo è mai stato sfumato da una musica comunque più ortodossa affidata al fuoco sonico di James Dean Bradfield e di Sean Moore.

Quindi essere non mero ascoltatore, bensì lucido ma incondizionato estimatore di quattro Gallesi dallo pseudonimo improbabile (avrebbero retto ugualmente se avessero optato definitivamente per il moniker Betty Blue? Inutile esercizio intellettuale: non accadde) riduceva le proprie frequentazioni.

Dei Manic Street Preachers nessun pubblico di massa si accorse sino al quarto album: Everything Must Go.

In realtà quello che molti conobbero furono i soli singoli.

Si susseguono poi canzoni, proclami, concerti, antologie, cadute, resurrezioni, prove soliste, famiglie, delusioni, tentativi, fallimenti, ..., Patrick Jones, Hall Or Nothing ...

Ma la street cred ancora regge. Se si è intelligenti quella non si perde mai: chi ti ascolta percepisce anche ciò che sta dietro ogni tuo sforzo.

Quindi ancora vale la pena.

Del resto con altri argomenti e altre parole l’ho già scritto, talvolta anche non ex professo.

Mi raccomando: sempre con entusiasmo del momento nell’ascolto e poi laborioso accanimento nel condividere e sviluppare citazioni e riferimenti certe volte cosi poco immediati che ci si può perdere per motivi anche generazionali[7].

Per i lettori che non mi/ci capiscono – ancora! – you love us[8].

Per i lettori che condividono – ancora? – stay beautiful.

 

[1] Credo che l’angolo dedicato a John Lennon, al Central Park di New York City, sia una delle idee più squallide e modeste che ci siano: in ragione di coloro che lo visitano.

[2] Ho uno o due loro CD, per forza di cose: da bansheeiano storico quale sono.

[3] Verosimilmente, i ragazzi erano legalmente mal assistiti quando lasciarono la Heavenly Records, come lo furono prima di loro The Clash.

[4] Certo sarebbe un’idea se qualcuno realizzasse un orologio da polso con la cassa “replica” di quello di Hiroshima (o almeno riprodotta sul quadrante) devolvendo – per davvero – i ricavi in favore delle vittime di quella bomba.

[5] D’altronde gli è anche attribuita la frase: “I detest every other musician I've ever met”.

[6] Lo stile mio è quel che è, e non perché “il talento fa ciò che vuole e il genio quello che può” – Carmelo Bene dixit

[7] Lipstick Traces di Greil Marcus rimane un testo ostico, che già appariva superato o ignoto a chi non era un ‘77 rebel with a brain. Ma il double pun, anche dollsiano, forse piacque troppo. In ogni caso è anche una antologia atipica dei MSP difficilmente trascurabile.

[8] In fondo anche un riferimento “antziano”.