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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
02/10/2017
Rock-pop e Francia
(Perché in Italia è, o sembra, più difficile anche suonare e cantare)
Morale: oggi non ci sono più scuse per evitare di suonare rock o pop in Italia nella lingua natale, perché le distanze geografiche si sono fatte ben poco o per nulla rilevanti (conferma ne sia che – a parte una sorta di endemico difetto di pronuncia sulle “s” – i rapper italiani infatti ci provano e gli USA non sono dietro casa).
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

“Variété Française”: questa espressione è aborrita da chiunque si picchi di essere rock, oppure pop, in Francia.

Il che non significa che nei siti, materiali e non, di vendita di musica (come li si può altrimenti chiamare?) non si cada nella predetta categoria anche se non se ne è parte, ma l’importante è non esserlo nei siti Internet e nel giudizio di chi scrive di musica.

Ecco allora l’affrancarsi di Serge Gainsbourg ben prima di valicare i patri confini e più recentemente di Alain Bashung da questa scomoda etichetta, cui mai potrebbero essere associati gruppi come Asphalt Jungle o Metal Urbain, ma che dire di Jacno o dei Telephone o degli Starshooter?

Continuando ad ascoltare musica di origine francese ed a leggerne anche, alla fine diviene naturale domandarsi: perché è più facile emergere fuori dalla VF di quanto lo sia in Italia fuori dalla “Musica Leggera”?

Una tesi che pare piuttosto convincente (in effetti non se ne vedono di diverse, con l’avvertenza che si può nascere rock e finire VF: Johnny Halliday insegna) pur se non così nota è geografica: fra Francia e Gran Bretagna c’è solo un tratto di mare.

L’argomento “distanza” risulta molto efficace, perché la Germania (Ovest) beneficiò certamente di chi (The Beatles e altri) per taluni periodi suonò nei club tedeschi di città come Amburgo.

In Italia certo jazz beneficiò “degli Americani” a partire da Chet Baker e questa è un’altra conferma.

Mezzo secolo e più fa, ecco allora che la breve distanza consentì di superare la barriera linguistica data la matrice evidentemente latina anche del Francese; barriera che è usuale scusa per spiegare perché in Italia è difficile “fare rock in Italiano”.

Se provate ad ascoltare certe cover di Alain Kan ve ne renderete conto: la musica è riconoscibile ma il testo pare davvero stravolto.

Per tornare a Gainsbourg, a parte le sue sortite con testi in Inglese, ci sono alcuni ottimi risultati di traduzione dal Francese di sue canzoni da parte di artisti come i Placebo[1], dunque il testa-coda vale positivamente in entrambi i sensi.

Inoltre, la dimensione territoriale quasi adiacente permise anche una più rapida assimilazione di stili nel settore dell’abbigliamento[2]: quanti giubbotti Schott venduti a Parigi, tanto che Perfecto (il modello supremo di leather jacket e vanto del produttore newyorkese) in Francia è volgarizzato proprio come sinonimo di blouson en cuir.

Né è trascurabile il fatto che grazie all’assimilazione di generi musicali non propri, assimilazione nel senso di fruizione oltre che interpretazione, nel Hexagone, la Francia ha potuto avere concerti da noi inimmaginabili: cito per tutti quelli dei New York Dolls[3], e, volendo girare un coltellaccio nella piaga, aggiungo Reed, Cale e Nico al Bataclan o la reunion dei Velvet Underground quasi battezzata a Parigi.

Infine che dire di Iggy Pop quasi “adottato”[4] all’ombra della Tour Eiffel? Ça marche!

Morale: oggi non ci sono più scuse per evitare di suonare rock o pop in Italia nella lingua natale, perché le distanze geografiche si sono fatte ben poco o per nulla rilevanti (conferma ne sia che – a parte una sorta di endemico difetto di pronuncia sulle “s” – i rapper italiani infatti ci provano e gli USA non sono dietro casa).

Quindi onore agli incompresi che ci hanno tentato nei decenni scorsi – e non sto parlando delle cover degli anni sessanta, sentendosi dire che non erano sufficientemente adatti perché in Italiano non si può “cantare bene come XXX” (metteteci voi il nome che volete), quindi condannati a finire ingiustamente nel dimenticatoio.

Ma deve essere buon rock e buon pop, non musica leggera con qualche svisata elettrica tanto per gradire.

 

[1] In parte diverso è l’argomento di un cantante e autore francofono, ma belga, come Jacques Brel, interpretato con ottimi risultati con testi in Inglese perché di matrice certamente più melodica. Vero è che una splendida “My Death” è interpretata da David Bowie.

[2] Chi non capisce il binomio musica-abbigliamento non capirà mai i giovani, in nessuna epoca.

[3] Non oso pensare a cosa sarebbe stata una esibizione delle Bambole in Italia: un fiasco di botteghino e chissà che assurdità di critiche, anche senza Johnny Thunders con la “swastika armband” ad adornare il giubbotto di pelle.

[4] Il che mi permette di ricordare l’altra tesi, di Derek Raymond (nato Robert W. A. Cook): secondo cui in realtà la Francia avrebbe la capacità di fare propria ogni persona o cosa proveniente dall’estero senza modificarne in alcun modo i connotati (si cfr. Derek RAYMOND, Hidden Files, London-New York, Little Brown, 1992, nel 35° capitolo; in Italiano il libro è intitolato Stanze nascoste), preferibilmente quando lo straniero conferma il detto nemo profeta in patria.