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MAKING MOVIESAL CINEMA
È stata la mano di Dio
Paolo Sorrentino
2021  (Netflix)
COMMEDIA DRAMMATICO
9/10
all MAKING MOVIES
18/05/2022
Paolo Sorrentino
È stata la mano di Dio
Sorrentino torna alle origini, non tanto del suo cinema quanto a quelle della sua vita, costruendo un film diversamente autobiografico e ricominciando dalla sua Napoli e da uno stile molto più lineare e a prima vista semplice, dove non mancano i tocchi personali di un regista dallo stile riconoscibile. "Non ti disunire Fabio".

"La realtà non mi piace più. La realtà è scadente. Ecco perché voglio fare il cinema".

 

In alcune interviste successive all'uscita di È stata la mano di Dio il regista Paolo Sorrentino raccontò di come nel periodo precedente alla realizzazione del film accusasse un senso di ripetizione, come se sentisse che per le sue ultime prove (la serie The new Pope e il dittico Loro) si fosse trovato a lavorare quasi in maniera automatica, come a ripetere formule e stili ormai collaudati e che forse (aggiungo io) avevano toccato l'apice di ciò che potevano offrire a quella parte di pubblico innamorata dello stile del regista. Chi ha visto film come Il divo, La grande bellezza, Youth - La giovinezza, sa che il cinema di Sorrentino non è mai banale, anzi, la ricerca sulla messa in scena dell'autore è strabordante, capace di regalare immagini bellissime, squarci onirici, aperture di significati tutti da decifrare, scenografie e costumi sfarzosi, ammalianti, densi e capaci di tirar lo spettatore dentro ad altri mondi, ad altre vite.

Certo, per ripetere un mantra banale, un cinema non per tutti, ma se per quello che riguarda la settima arte quella di Sorrentino non è proprio la mano di Dio, di certo non è nemmeno quella di un comunissimo mortale, piaccia o non piaccia Sorrentino oggi è uno dei maestri dell'arte e non solo in Italia. Per ovviare a quella che poteva essere una fase di stanchezza, per dare una cesura e una ripartenza alla sua filmografia, Sorrentino torna alle origini, non tanto del suo cinema quanto a quelle della sua vita costruendo un film diversamente autobiografico e ricominciando dalla sua Napoli da troppo tempo abbandonata (dal suo esordio) e da uno stile molto più lineare e a prima vista semplice dove non mancano i tocchi personali di un regista dallo stile riconoscibile, ma sono schizzi all'interno di un film decisamente più "classico" che ha le potenzialità per raccogliere i favori di un pubblico più vasto del solito. E se il tormentone "non ti disunire Fabio" pronunciato nel film dal regista Antonio Capuano solo ora avesse raggiunto la sua portata di significato riconducendo il giovane Fabio/l'adulto Paolo a tornare alle origini? a un cinema meno costruito, più spontaneo sebbene, forse in maniera inevitabile, più sofferto e doloroso? (un dolore alleviato dal lavorio sui ricordi, come lo stesso Sorrentino ha dichiarato).

 

Fabietto Schisa (Filippo Scotti) è un giovane un po' introverso ma molto innamorato della sua famiglia al cui nucleo è attaccato con amore profondo, un bellissimo rapporto con il fratello Marchino (Marlon Joubert) e due genitori splendidi: papà Saverio (Toni Servillo) e mamma Maria (Teresa Saponangelo); della sorella Daniela (Rossella Di Lucca) poco si sa, quella sta sempre chiusa in bagno. Gli Schisa sono parte di una famiglia allargata fatta di zii e parenti vari molto divertente e legata alla sensibilità tutta partenopea per un umorismo incontenibile che rende le giornate passate insieme sempre originali e portatrici di eventi spassosi da ricordare nel tempo. Poi c'è la zia Patrizia (Luisa Ranieri), un poco ammattita dopo quella gravidanza andata male, una donna sensuale che spesso si concede alla nudità e che diventa per Fabietto una sorta di musa, è una donna che parla con San Gennaro (Enzo Decaro), vede il munaciello della tradizione campana e si trova molto spesso a fare questioni, come si dice a Napoli, col marito gelosissimo Franco (Massimiliano Gallo). Siamo negli anni 80, nei giorni in cui sempre più insistente si fa quella voce che vuole Maradona al Napoli contro ogni previsione (figurati se quello da Barcellona viene 'int'a 'sto cesso). Maradona arriverà davvero, un evento epocale per Fabietto e per tutta la famiglia. Poi un accadimento tragico scombinerà tutti gli equilibri, la vita diventa appunto scadente, dolorosa, per Fabietto inizia a intravedersi un futuro nel cinema, forse lontano da quella Napoli che è stata di Maradona.

 

Non sappiamo quanto davvero sia costato a Sorrentino in termini di emotività realizzare questo film, ciò che è certo è che con È stata la mano di Dio il regista partenopeo di emozioni riesce a regalarcene molte, si spiega qui anche la sua devozione per Maradona, che non è solo calcistica, e che viene espressa in un momento fulminante da un Renato Carpentieri che ci comunica che "è stata la mano di Dio" a cambiare la vita del regista/protagonista.

Un film sincero e diretto, con tocchi di stile propri di Sorrentino ma accessibile a tutti, un film che è diviso in due parti, una prima decisamente divertente, piena di situazioni spassose, molto solare, illuminata, dove gli umori sono quelli della speranza (di un Napoli finalmente competitivo), della sensualita (la zia Patrizia) e della più genuina napoletanità con un gruppo d'attori irresistibile e gioioso ben rappresentato da mamma Maria, una donna devotissima all'arte dello scherzo. Sorprendenti anche alcuni dei personaggi di contorno: il contrabbandiere Armando (Biagio Manna), Mariettiello (l'ottimo Lino Musella) la teatrale Baronessa Focale (Betty Pedrazzi) e poi, tra i numi tutelari del nostro e tra i personaggi più importanti della seconda parte del film, quella più scura e drammatica, il regista Antonio Capuano (Ciro Capano) che instraderà in qualche modo Fabietto sulla via del cinema (fermo restando il sempiterno debito verso Fellini che anche qui non manca di esternarsi).

Il cinema di Sorrentino passa dalla testa al cuore con risultati stupefacenti, a volte per fare questo è necessario tornare a casa.