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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
19/11/2018
Eric Clapton
24 Nights
Saranno 24 notti di assoli che sfiorano la perfezione a consegnare Eric Clapton e la sua Fender Stratocaster alla storia. Slowhand porta a scuola un po’ tutti aiutandoci a capire il significato di quella famosa scritta che nei muri della metropolitana londinese recitava “Clapton is God”.
di Tomaso Massa

Tra il 1990 e il 1991, Eric Clapton tenne una serie di concerti (42) alla Royal Albert Hall di Londra da cui si operò una selezione di 24 date per registrare un live album (prodotto da Russ Titelman, che nel 1992 produrrà il famosissimo Unplugged dello stesso Clapton) che nonostante le non eccezionali vendite  rimane tra i più importanti, sia per i fan, che hanno modo di ascoltare il proprio idolo all’apice della carriera, sia per il chitarrista, segnandone quella rinascita artistica che poi, l’anno successivo, nel 1992, lo condurrà alla realizzazione del summenzionato album acustico “Unplugged”.

Per non deludere le aspettative, Clapton suddivise le sue performance riunendo quattro super gruppi (tra cui una formazione con tanto di Orchestra diretta da Michael Kamen) alternando artisti del calibro di Phil Collins, Robert Cray, Buddy Guy e Johnie Johnson, quasi a voler dimostrare che il suo estro artistico si potesse esprimere indipendentemente da chi lo affiancava sul palco.

Saranno 24 date dove assistiamo ad un chitarrista maturo sia musicalmente (sono gli anni in cui si incomincerà ad apprezzarne la voce) e sia personalmente, lontano dagli abusi di alcool e droghe che lo avevano portato ad un passo dal baratro condizionandone in negativo l’evoluzione musicale.

Ritrovando se stesso e la sua anima blues, in questo live album (di cui esiste anche una versione dvd) “Slowhand” non sbaglia un colpo, sfoggiando il meglio del suo repertorio: dai classici coi Cream (White Room, Badge e Sunshine of Your Love)  passando per il soul-blues di Hard Times  e Old Love arrivando poi al momento dell’esecuzione con  l’orchestra filarmonica  dove  ancora una volta delizia gli ascoltatori con Edge Of Darkness.

A proposito di momenti clou, memorabile è l’esecuzione della cover del suo idolo,  Freddie King, Have You Ever Loved A Woman: uno slow blues senza tempo,  dove emerge un chitarrista che in 6 minuti e 36 secondi fa parlare le sei corde con un tocco sublime, ricordando ancora una volta che per quanto possa essere facile suonare un giro di blues in pochi riescono a eccellere.

Stesso discorso vale per l’esecuzione di Hard Times (cover di Ray Charles) e Worried Life Blues.

Ma alla fine, che lo si metta in compagnia degli amici di una vita (Buddy Guy, Robert Cray e Phil Collins) o con alle spalle un’orchestra filarmonica, il risultato è sempre lo stesso e d’altronde c’è poco da stupirsi considerando la caratura artistica di un chitarrista che ha trovato nel blues una fonte dalla quale attingere per sentirsi vivo in un mondo musicale che lo considera uno dei più grandi esponenti delle sei corde di tutti i tempi.