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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
4 - L'Esattezza (Pt. 2) - Dietro al mantello del Prestigiatore
Riletture Americane - Liberi percorsi nella musica commerciale del dopoguerra
CLASSIC ROCK
all RE-LOUDD
04/02/2019
Riletture Americane - Liberi percorsi nella musica commerciale del dopoguerra
4 - L'Esattezza (Pt. 2) - Dietro al mantello del Prestigiatore
Negli anni ’30 John e Alan Lomax potevano vagabondare per 12.000 miglia attraverso gli stati del sud con un registratore a bobine e un microfono per incidere a presa diretta le canzoni di Leadbelly, Son House o Mississippi Fred MacDowell. La loro fu una delle più pure esperienze musicali del secolo passato...
di Giovanni Capponcelli

Negli anni ’30 John e Alan Lomax potevano vagabondare per 12.000 miglia attraverso gli stati del sud con un registratore a bobine e un microfono per incidere a presa diretta le canzoni di Leadbelly, Son House o Mississippi Fred MacDowell. La loro fu una delle più pure esperienze musicali del secolo passato: nessun intermediario, nessuna sovrastruttura, un’avventura più antropologia che “pop”, dall’esecutore al consumatore tutto attraverso un singolo “medium” per immagazzinare i dati. Un medium, quest’ultimo, utilizzato sul campo in un modo del tutto insolito ma redditizio, sfruttato per immagazzinare cultura pronta per essere redistribuita. Il tutto nonostante le inevitabili difficoltà tecniche.

"The recordings by Leadbelly made by the Lomaxes had historical significance beyond the fact that they were the first ones of a man who would become a major figure in American music. The whole idea of using a phonograph to preserve authentic folk music was still fairly new. […]

The whole concept of field recording was, in 1933 and still today, radically different front the popular notion of recording. Field recordings are not intended as commercial products, but as attempts at cultural preservation. There is no profit motive, nor any desire to make the singer a ‘star.’

[…] (Lomax) had to overcome the technical problems involved in recording outside a studio; one always hoped for quiet, with no doors slamming or alarms going off, but it was always a risk. His new state-of-the-art recording machine sported a new microphone designed by NBC, but there were no wind baffles to help reduce the noise when recording outside. Lomax learned how to balance sound, where to place microphones, how to work echoes and walls, and soon was a skilled recordist"

Leadbelly - The Remaining ARC And Library Of Congress Recordings, Volume 1 (2008)

"Le registrazioni di Leadbelly fatte dai Lomax ebbero un significato storico oltre al fatto che furono le preime di un artista che sarebbe diventato una delle maggiori figure della musica americana. L’idea stessa di utilizzare un fonografo per preservare l’autentica musica popolare era di fatto una novità [...].

L'intero concetto di “registrazione sul campo” era, nel 1933 e ancora oggi, radicalmente differente dalla comune nozione di registrazione. Le registrazioni sul campo non erano intese come prodotti commerciali, ma come tentativi di tutela del patrimonio culturale. Non vi è alcuno scopo di lucro, né alcun desiderio di fare il cantante una 'star'.

[...] (Lomax) ha dovuto superare i problemi tecnici della registrazione fuori da uno studio: si spera sempre nel silenzio, senza porte che sbattono o allarmi che suonino, ma c’era sempre un rischio. Il suo nuovo registratore all’avanguardia sfoggiava un nuovo microfono progettato dalla NBC, ma non c'erano deflettori contro il vento per contribuire a ridurre il rumore durante la registrazione all’esterno. Lomax imparò a bilanciare il suono, a posizionare i microfoni, a lavorare con gli echi e le pareti, e presto divenne un esperto produttore”

(Charles Wolfe, Kip Lornell – The Life and Legend of Leadbelly)

 

Nel frattempo, Robert Johnson faceva provini via telefono e le sale di incisione erano poco più che stanzini con un microfono al centro, parzialmente insonorizzati dal traffico delle strade circostanti.

Ma dagli anni ‘40 in avanti, anche grazie alla spinta tecnologica favorita dal conflitto mondiale, l’impennata nelle tecnologie del suono portò ad un radicale cambiamento del mercato musicale stesso. Si diffondono sempre maggiormente gli strumenti “elettrici” con i relativi amplificatori e diffusori: dalle chitarre Rickenbacker, Les Paul e Fender (commercializzate dalla metà degli anni ’30, le prime, fino ad un vero boom negli anni ’40) all’organo Hammond (brevettato nel ’34 ma portato alla ribalta da Jimmy Smith nei primi anni ‘50: il volume della musica popolare deve potere tenere testa al crescente frastuono della città post-industriale che va tramutandosi in metropoli. Si aprono studi di registrazione ampi e sofisticati e si sperimentano molteplici attrezzature per manipolare o addirittura cerare il suono: già nel 1956 la colonna sonora del film fantascientifico The Forbidden Planet (Il Pianeta Proibito) è un prodotto di sola musica elettronica che gli autori, Louis e Bebe Barron composero grazie ad una sorta di proto-sintetizzatore di loro costruzione.

 

Fifth Avenue teems with pre-Christmas holiday traffic near 34th street in November 1948

A mediare tra il produttore e l’artista, un bravo tecnico del suono era divenuta una figura imprescindibile e che poteva fare la differenza:

Mentre le orchestre e le big band dell’era pop precedente avevano bisogno di ampi spazi per ricreare le loro sonorità, adesso negli studi si creava un’atmosfera di grande intimità con la supervisione di un tecnico del suono che, con infinita pazienza, da dietro i vetri che separavano le sue apparecchiature di registrazione dal resto, trattava spesso con musicisti dilettanti e particolarmente eccentrici. L’uso giudizioso dell’eco, il sapiente montaggio di un master da vari pezzi di registrazioni diverse, potevano rendere qualsiasi banalità un gioiello.

(Charlie Gillet – Sound of the City)

Con il progressivo miglioramento delle tecniche di incisione e l’adozione del nastro magnetico e della registrazione multi-traccia, a metà degli anni ’60 la parabola della sala d’incisione toccò l’apice dell’era analogica. Essa non è più la stanza insonorizzata alla bell’e meglio, ma una vera e propria “fabbrica del suono” ad alta tecnologia. La fase di lavoro in studio che segue l’incisione diventa addirittura determinante, tanto da trasformare la pubblicazione di un album in qualcosa di più simile al montaggio e alla post-produzione cinematografica che ad una semplice registrazione audio.

Ma l’importanza del nastro magnetico non consisteva soltanto nella riduzione dei costi. Il nastro rappresentava una mediazione nelle fasi del processo dì registrazione: l’esecuzione veniva registrata sul nastro, e questo era utilizzato per produrre il master disc. A mutare il processo produttivo della musica pop fu proprio ciò che il nastro stesso consentiva di fare in questa fase intermedia. I produttori non erano più costretti ad accettare integralmente un’esecuzione. Potevano tagliare, giuntare e compilare i frammenti più riusciti delle esecuzioni, eliminare gli errori e produrre registrazioni di eventi ideali, anziché reali. Inoltre, i suoni sul nastro potevano essere aggiunti artificialmente e gli strumenti potevano essere registrati separatamente, Un cantante poteva incidere la propria voce e cantare sulla registrazione mentre veniva nuovamente registrato. Tali tecniche diedero nuova elasticità ai produttori, consentendo loro di registrare esecuzioni (come una doppia incisione vocale), impossibili in diretta (sebbene musicisti e produttori di apparecchiature musicali cercassero ben presto di ottenere il medesimo effetto sul palcoscenico). Lo sviluppo della registrazione multitraccia negli anni Sessanta permise di preservare separatamente i suoni incisi sullo stesso nastro e di manipolarli l’uno in funzione degli altri durante il mixaggio finale, anziché attraverso il procedimento della sovrapposizione successiva. I produttori potevano ora lavorare sullo stesso nastro per “registrare" un’esibizione costituita in effetti da eventi diversi, separati nel tempo e, sempre più spesso, avvenuti in studi di incisione diversi. I giudizi, le scelte e l'abilità di produttori e ingegneri divennero importanti quanto quelli dei musicisti, ed effettivamente la distinzione fra ingegneri del suono e musicisti si svuotò di significato. La musica realizzata in studio non manteneva più alcuna relazione con ciò che si faceva dal vivo; i dischi utilizzano suoni (gli effetti delle manipolazioni e delle apparecchiature elettroniche), che nessuno ha mai potuto prima sentire impiegati in un contesto musicale.

(Simon Frith – Il Rock è finito)

 

L’entusiasmo per questo nuovo mondo tecnologico che si era rapidamente schiuso ai grandi artisti dell’epoca produsse alcuni dei massimi capolavori di meticolosità sonora, di montaggio e costruzione “a posteriori” dell’album. Primo fra tutti quel Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band sovente citato come uno tra i migliori dischi di sempre e che ha finito per diventare una pietra di paragone ingombrante per generazioni non solo di musicisti, ma anche, soprattutto, di produttori e tecnici di studio. Ci vollero oltre 4 mesi, 700 ore di registrazione e circa 25.000 sterline ma alla fine il gruppo produsse un capolavoro che partiva dalla copertina e NON terminava nemmeno all’ultimo solco del lato B: una disco destinato a rimanere, sempre.

Il capolavoro dei Fab Four fu la massima espressione di quanto un moderno studio di incisione potesse produrre se unito alla fantasia melodica ed alla facilità di scrittura di un gruppo all’apice della carriera.

L’idea del “pop-concept” che fluisce senza soluzione di continuità, proposta in origine da George Martin (il vero factotum del gruppo, figura chiave per il successo planetario dei Beatles) e condivisa da Lennon, non era però un unicum: oltreoceano Frank Zappa aveva appena pubblicato Freak-Out!

Ma soprattutto l’album dei Beatles era in qualche modo la risposta al primo grande lavoro “pop” di “produzione” o meglio il primo album in cui l’orchestrazione e il “montaggio” musicale avevano superato di gran lunga per importanza le session d’incisione e il musicisti stessi. Questo album è Pet Sounds, capolavoro dei Beach Boys, in effetti gli unici veri “rivali” dei Beatles nei primi anni ’60: per i giornali era facile imbastire una banale dualità tra Fab-Four e Stones senza considerare che i due complessi britannici erano concettualmente agli antipodi e le loro strade stavano ampiamente divergendo.

Lasciando per un attimo da parte Zappa (di fatto portavoce di una musica “altra” rispetto a Beatles e Beach Boys), Pet Sounds fu la rivelazione di come la musica pop commerciale per i giovani potesse pure avvalersi di arrangiamenti classici, scritti in partiture anche complesse, arrangiate con strumenti insospettabili (archi, ottoni…), armonizzati in un modo, si direbbe “colto”. Questo album costituisce, assieme “Sgt. Pepper”, una sorta di “colonne d’Ercole” per l’esattezza in musica. Al di là di queste colonne sta un oceano di infinite soluzioni e possibilità costruttive in cui produttori e ingegneri hanno il compito di guidare gli artisti per facilitarne le scelte indirizzandoli verso il risultato finale più adatto alle specificità della musica e al carattere (nonché alle intenzioni) dei suoi autori. In questo “mare magnum” svetta, tra gli altri, il terzo grande album di studio dell’epoca (nonché uno dei massimi di sempre) Electric Ladyland. Il doppio LP di Jimi Hendrix, prodotto della smisurata ambizione del chitarrista, è una fantasmagorica trovata di effetti, sovrastrutture e post-produzioni: forse la prima e unica opera post-psichedelica.

Giorgio de Chirico - Colonne e Foresta nella Stanza (1928)

Sono, questi, album ingombranti, partoriti in seguito a gestazioni lunghe e laboriose, diversi per il solo fatto che se quello dei Beatles fu il frutto di un lavoro di squadra, il capolavoro dei Beach Boys fu in pratica voluto, pensato e realizzato dal solo Brian Wilson, prototipo della rara categoria del musicista totale moderno: esecutore, autore, produttore e arrangiatore allo stesso tempo. Una pressione tale che finì per schiacciare il povero bassista di fatto ritiratosi dalle scene dopo il capolavoro, alle prese con una grave forma di depressione. A suo tempo, l’unico altro vero musicista totale era Frank Zappa, il poliedrico e dissacrante fenomeno della California del Sud, musicista autodidatta eppure di formazione serissima, conoscitore profondo di armonia e composizione nonché di musica “colta”. La sua direzione però fu diametralmente opposta a quella di Beatles e Beach Boys: tanto questi cercavano l’esattezza per un prodotto mirato ad un pubblico giovane, generalista, piuttosto acritico e tendenzialmente “allineato”, tanto Zappa scelse la difficile strada dell’emarginazione e dell’originalità sovversiva e satirica. L’esattezza e la testardaggine di rifuggire sempre dalla scelta più comune e dalla melodia più facile.

Non per niente fu proprio Zappa il produttore di quell’enorme concentrato di musica (post)moderna che è Trout Mask Replica, apice della discontinua carriera di Captain Beefheart e di fatto una sorta di “Sgt. Pepper” di un Mondo musicale (e artistico) di una differente galassia. Un Mondo che si muove parallelamente a quello della musica di consumo generalista, senza però incrociarla mai, senza possibilità di permeazione, se non per satire irriverenti e crude (“Beatle Bone 'n' Smokin' Stones”). Fu la dimostrazione che se un buon controllo su tutte le fasi della produzione era spesso sinonimo di un eccelso prodotto musicale (Sgt. Pepper, Pet Sounds e Trout Mask Replica lo sono, in maniere differenti) non necessariamente questo risultato artistico si trasforma anche in un grande successo commerciale. Inutile disquisire su quale dei due “mondi” sia artisticamente migliore: a oltre 50 anni di distanza e migliaia di nuovi prodotti discografici sarebbe ormai come pretendere di stabilire una gerarchia tra Picasso e Caravaggio …

Certo, considerata la cruda oggettività del mercato e delle vendite, i due Alienati Californiani, ma soprattutto Van Vliet, sperimentarono sulla propria pelle l’ustione del fallimento: Trout Mask Replica sarà certo un’opera di elevatissima caratura artistica ma in quanto a successo, almeno in America, fu un flop allucinante e, a posteriori, ampiamente prevedibile: troppo spiazzante, troppo radicale, troppo privo di compromessi per arrivare al centro del gusto comune che garantiva e garantisce i guadagni. E se in Inghilterra l’album non andò male (n° 24 nel novembre 1969), fu per un pubblico attratto più dal gusto del bizzarro e dell’estremo che dalla sincera curiosità verso una musica nuova. L’effimero successo inoltre costò a Beefheart quasi la carriera quando, dopo la violenta rottura con Zappa, fu deportato in Inghilterra come una rara mostruosità di terre equatoriali.

Il doppio LP della Magic Band emerse dalla periferia di L.A. da una gestazione travagliata (come Sgt. Pepper) in cui il gruppo rimase isolato per mesi dal resto del mondo. I 28 brani che compongono l’album sono, a loro modo, una continua sfida all’esattezza e forse alla Musica stessa, tanto che Van Vliet incideva la parte vocale senza sentire il suono del suo gruppo, ma solamente guardando i musicisti attraverso il vetro della sala d’incisione: una traslazione sensoriale che apre nel complesso processo di produzione voragini di aleatorietà in una musica che è sì “casuale” eppure mai improvvisata. Quando, in conclusione di She's Too Much For My Mirror si sente la voce di Zappa bofonchiare oltre il vetro “shit, i don't know how did that harmony get in there?” appare evidente quanto sia, e fosse, complesso sfuggire a regole musicali codificate e condivise: l’esattezza al contrario, di un mondo ben al di là dello specchio. Resta inconfutabile comunque che, tra le straordinarie invenzioni nelle quattro facciate dell’album, China Pig è il più perfetto esempio di Blues Rurale mai inciso, addirittura migliore e più calzante delle stesse versioni originali degli anni ’20. Non è una canzone, non è un blues: è l’idea stessa di blues che sta nella testa e nella memoria dell’ascoltatore ancor prima che nella chitarra e nelle dita dell’esecutore. Blues platonico. Si potrebbe stare a lungo a parlare di questo capolavoro che certamente non mancherà di offrire spunti in altre “riletture”.

Don Van Vliet - China Pig (1986-‘87)

Tornando in tema, è facile concludere che il processo di produzione e vendita della musica commerciale ha scelto il doppio modello Pet Sounds - Sgt. Pepper come paradigma di una esattezza formale che investe il prodotto in tutte le sue parti, dall’incisione alla copertina. Electric Ladyland fu di fatto il prodotto di un inimitabile virtuoso, quindi difficilmente replicabile. Una nuova vittoria di Apollo, forse; ma anche il riconoscimento al lavoro di professionisti silenziosi e rigorosi, capaci di trasformare il un grezzo motivetto imbastito dalla rockstar in una canzone fatta e finita.