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REVIEWSLE RECENSIONI
07/01/2019
The 1975
A Brief Inquiry into Online Relationships
I The 1975 tornano con un terzo album ambizioso e variegato, un compendio caleidoscopico un po’ schizofrenico nel quale convivono alto e basso, personale e universale, citazioni Jazz e sperimentazione elettronica. Insomma, un perfetto esempio di Pop postmoderno.

Bisogna ammettere che a Matt Healy non manca l’ambizione. Dopo una serie di Ep e un album di debutto omonimo che nel sound e nell’attitudine erano immersi fino al collo nella retromania fine anni Ottanta, mischiando chitarre e sintetizzatori come avevano saputo fare INXS e U2 prima di loro, ora, giunti al terzo album, i The 1975 hanno sviluppato compiutamente una loro personalità, che da un lato guarda ai grandi del Pop Rock e dall’altro si butta a capofitto nella società liquida dello streaming e della condivisione social, provando a raccontarla e a sintetizzarne gli umori, soprattutto musicali.

In questo 2018, dove la musica di ogni epoca è reperibile nelle piattaforme di streaming in una sorta di bolla atemporale, è chiaro che l’approccio eclettico dei The 1975 – che mischiano senza soluzione di continuità Emo, influenze Post Punk, ambizioni Pop e un tocco di R&B – è quello più corretto per provare a essere rilevanti e portare la grande narrazione Rock un passettino più avanti.

Costruito sulle fondamenta di I Like It When You Sleep, For You Are So Beautiful yet So Unaware of It, nel quale i The 1975 allargavano lo spettro sonoro inglobando nella loro musica influenze Kraut Rock e New Wave, questo A Brief Inquiry into Online Relationships – prima parte del dittico Music for Cars che si completerà a fine maggio con l’uscita di Notes on a Conditional Form – è una perfetta istantanea sulla musica Pop del 2018, un compendio caleidoscopico un po’ schizofrenico nel quale convivono alto e basso, personale e universale, citazioni Jazz e sperimentazione elettronica. Insomma, un perfetto esempio di Pop postmoderno.

La forza di A Brief Inquiry into Online Relationships, però, non è tanto nella sua capacità di essere contemporaneo, ma, soprattutto, nell’essere sempre a fuoco, centrato e coeso. Una cosa non facile quando le canzoni sono addirittura 15, la durata sfiora l’ora e nella tracklist c’è un po’ di tutto: il vocoder à la Bon Iver dell’intro “The 1975” e di “I Like America & America Likes Me”, il Post Punk frenetico di “Give Yourself a Try” (che cita il riff di “Disorder” dei Joy Division), l’Elettropop di “TooTimeTooTimeTooTime”, il Pop Funk di “Love If We Made It”, i Radiohead di Amnesiac di “How to Draw/Petrichor” e quelli di OK Computer di “The Man Who Married a Robot/Love Theme” (dove una voce sintetizzata simil-Siri si sostituisce a quella di Fred dell’applicazione SimpleText di Macintosh usata da Thom York & Co. in “Filter Happier”), l’R&B di “Sincerity Is Scary”, il Jazz di “Mine”, i Talking Heads più Pop di “It’s Not Living (If It’s Not with You) e il Phil Collins più vulnerabile di Face Value di “I Couldn’t Be More in Love”.

I critici più severi potrebbero liquidare i The 1975 come la classica band del momento, abbastanza furba da saccheggiare a destra e a manca nella storia del Pop Rock e ripresentare il tutto sotto una nuova confezione ai Millennial più ingenui. I loro detrattori potrebbero anche avere ragione, ma quello che rende Healy & Co. così speciali e diversi dalla gran parte delle band della loro generazione, sono la passione e l’onestà di fondo – quasi brutale tanto è ingenua e sfacciata – con cui si approcciano alla musica. Quando un frontman si racconta così senza filtri – la dipendenza dall’eroina, gli amplessi in auto, il rehab, le complicate relazioni sentimentali, il sincero cordoglio per la scomparsa di Lil Peep e un giovane fan morto suicida – da riuscire a stabilire un contatto così profondo con l’ascoltatore, be’, si può dire quello che si vuole, ma ha già vinto.