The Same Stars, moniker dietro il quale si nasconde Ermanno Valeriano, è un progetto musicale che poteva nascere e morire con Notes From The Fall nel 2020, un disco scarno e minimalista che aveva la necessità di vedere una sua prosecuzione in un lavoro diverso e più elettrico, arrangiato e registrato in un modo nuovo. A Forever Home è in lavorazione dal 2021 ed è una fotografia delle circostanze del periodo, un album che apre a domande e nasconde tribolazioni che l’avevano lasciato a se stesso, destinato a non vedere mai la luce. Poi però, nonostante (o forse proprio perché) la vita ha preso una piega diversa, era necessario portare a conclusione quel progetto e dargli la forma che avrebbe meritato avere. Grazie al supporto di Carlo Pinchetti, che con la sua Tenderfoot Corps ha supportato nella gestione e lancio del disco, A Forever Home ha visto la luce, per permettere a chi lo ascolta ora di immergersi in note che rischiavano di restare perdute.
Quelli tra il 2021 e il 2024 sono stati anni colmi di dolore per The Same Stars, nei quali per reggere gli urti psicologici e il peso dell’esistenza è stata necessaria molta forza, e dove una visione chiara dell’avvenire si era tramutata in nebbia fitta. Lunghi periodi dove non ci si sente mai davvero a posto e nel posto giusto. Una sensazione, questa, che Sartre descrive benissimo in un passaggio della sua autobiografia Le Parole: “Sono ritornato il viaggiatore senza biglietto che ero a sette anni: il controllore è entrato nel mio compartimento, mi guarda meno severo di prima: in effetti non chiede di meglio che andarsene, che lasciarmi finire il viaggio in pace; che io gli dia una scusa valida, una qualsiasi, e lui se ne accontenterà. Sfortunatamente, non ne trovo nessuna e d’altronde non ho nemmeno voglia di cercarla: rimarremo così da solo a solo, a disagio fino a Digione, dove so benissimo che nessuno mi aspetta”.
In fondo noi esseri umani siamo un po’ dei chiaroscuri, dei buchi pieni di buio da cui escono, a volte, fortuiti tagli di luce. Il sentire non è rappresentato da una linea retta, bensì da una curva, un cerchio, dove soltanto ritracciando le sfumature, restando fedeli a tutto ciò che non è visibile sotto la superficie, allontanandosi dalle etichette che la gente ci incolla all’anima, senza sapere chi in realtà siamo, diventa possibile riabbracciare la nostra forma originale, dagli altri ogni giorno deformata.
Non bisogna illudersi però, perché la sensazione di trovarsi sulla soglia, tra chi eravamo e chi ancora non siamo, prima o poi tornerà a bussare alla porta della stanza del dubbio. Nuotare tra i ricordi è spesso l’unico modo per sopravvivere all’enigma dei turbamenti scaturiti dalla nostra mente; una sensazione che fa volgere il pensiero a Proust che, in uno dei volumi de Alla Ricerca del Tempo Perduto, La Fuggitiva, scrive: “Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo delle cose com’erano”. La memoria non è una registrazione fedele del passato, ma è soggetta a rielaborazioni ed è influenzata dalle nostre emozioni e sensazioni, perché in essa vi regna ancora lo spirito penetrante e inquieto dal quale tutto ebbe inizio. D’altronde, l’uomo è fatto per rompersi e, mentre il suo cuore vivrà un eterno presente, la sua testa costeggerà sempre il passato.
Un vortice psicologico questo, che si percepisce già dalla prima traccia “Can’t stand still”, dove emerge come le relazioni tossiche inquinino la fonte dei desideri, trascinando il pensiero verso sentimenti estranei allo scopo di distrarre pene in stato avanzato, pur consapevoli che la soluzione è già in noi. “It’s time to make a change, but some things never change, time to make a change”. In “Losing streak” la mente affoga in considerazioni troppo profonde e le sconfitte appaiono in serie davanti agli occhi, mutando i colori che conferivano all’anima la forza di tornare in superficie. “God I feel so hopeless and weak. I wish I could break this losing streak. I wish you’d give me. Can’t find my way. Said I can’t find my way home, my way”.
“I keep running”, invece, invita a esorcizzare la paura di perdere le persone che amiamo ampliando la conoscenza di noi stessi, evadendo così dal giudizio altrui contraffatto; ed è necessario continuare a correre, perché “If you have your reasons, I got mine for sure”. Si susseguono poi “This time around”, “Always the same”, “A Long way down” e “Bridges”, che conduce al termine del cammino assicurandoci: “I’m better off this way. I can make it alone. And if I get back to normal with my body and soul. But I can’t get back to normal with my body and soul. Burn all bridges down. And if I get back to normal with my body and soul. But I can’t get back to normal with my body and soul. And I have no fear at all.”.
Album come questi sono arazzi cuciti con filamenti provenienti da stelle sconosciute e pianeti ancora da scoprire, e nell’accomiatarsi, soggiunge alla mente uno dei più noti concetti dietro i lavori di Emily Dickinson, che riaccendono quel barlume di speme che con tanta fatica si è riusciti ad accendere: “Io sono qui fuori con le lanterne a cercare me stessa”.