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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
08/06/2020
Fabio Gallo
A proposito di T-Rap Style
Con gli amici di Loudd, ci fermiamo a parlare con Fabio Gallo che con l’occasione ci presenta questa T-Rap Style, questo nuovo focus lavorativo di promozione che vuole dedicarsi al mondo (non più di nicchia, sia chiaro) del rap, della trap, di queste nuove frontiere digitali per niente dissimili - nella natura e nell’impatto sociale - dal buon “vecchio” pop italiano...

“Finché i tram vanno avanti in quella periferia, finché sognare non sarà difficile, finché si guarda in faccia la realtà ha senso fare dischi per dare un senso ai sogni propri” (F. Gallo)

Ritrovo un amico. Forse tutta la mia vita lavorativa, da 15 anni a questa parte, nasce proprio da lui… a lui che ho rubato tanti piccoli segreti per cercare di sentirmi un poco a casa nonostante sia gigante e (apparentemente) privo di porti sicuri questo mare magnum della musica italiana. Fabio Gallo è stato un giornalista ma soprattutto continua ad essere un professionista del settore, dall’editoria alla distribuzione, dalla produzione alla comunicazione… quindi, sopra ogni estetica di concetto, Fabio Gallo è ed è sempre stato un grande promoter discografico. Ho sempre cercato di far quadrare un cerchio ostico e farraginoso come quello in cui vivo quotidianamente, dove sono chiamato a dar voce all’arte prodotta da qualcuno… arte che di suo possiede già una voce, o almeno così dovrebbe essere. Una voce tutta sua che arriva da dentro, che somiglia - o almeno così dovrebbe essere - alla vita stessa che l’ha generata, che l’ha pensata. Ho sempre cercato di ritrovare un poco di me dentro ogni lavoro che porto avanti, dietro ogni articolo, dietro ogni semplice ascolto. Ma il vero punto è sempre stato quello di celebrarla quella voce, raccoglierla con mani umili e pulite, senza contaminarla per il mio gusto e senza false retoriche per una facciata conveniente.

Far quadrare questo cerchio, raccogliere quella voce e amplificarla perché possa arrivare dolcemente alla riva piuttosto che lasciarla infrangere su uno scoglio qualunque, è un’arte essa stessa… è un mestiere artigiano quello di Fabio Gallo e della sua agenzia L’altoparlante, un mestiere che nel mio piccolo ancora cerco di studiare e di capirne le regole… maledette regole che cambiano ogni giorno, di primo mattino, dopo ogni nuova frontiera digitale. Dunque parliamo di una musica che ha preso nuove forme e che senza soluzione di continuità sembra passare dal Pop alla Trap, inventandosi metamorfosi ugualmente concrete, producendosi in derive che sprigionano personalità che forse non avremmo mai saputo prevedere a priori. Ed è per questo che, con gli amici di Loudd, ci fermiamo a parlare con Fabio Gallo che con l’occasione ci presenta questa T-Rap Style, questo nuovo focus lavorativo di promozione che vuole dedicarsi al mondo (non più di nicchia, sia chiaro) del rap, della trap, di queste nuove frontiere digitali per niente dissimili - nella natura e nell’impatto sociale - dal buon “vecchio” pop italiano che ancora oggi detta legge nelle vette degli interessi di mercato. E questo potere pop(olare) non è più un’esclusiva… e lo vediamo dai grandi festival televisivi, lo vediamo sui social e sulle chart discografiche ufficiali, lo vediamo nei nuovi “negozi” di dischi, nei collettori digitali a portata di smartphone, nelle playlist e in tutto quello che è il futuro immediato delle nuove generazioni. Ho conosciuto L’altoparlante di Fabio Gallo quando ancora credevo davvero che un disco sarebbe bastato a se stesso. Dopo tutto questo tempo penso sempre che un disco possa bastare a se stesso, sia chiaro… ma penso anche e soprattutto che senza il mestiere artigiano di uomini come lui, la voce di un artista non potrà mai darsi anche quella magica opportunità di divenire la voce della sua gente e del tempo suo… gli scogli sono troppi ma c’è una riva dolce all’orizzonte che, quantomeno, non dobbiamo mai smettere di sognare… ogni giorno che Dio manda in terra…(cit., ma neanche troppo).

Iniziamo dal principio. Promuovere un disco oggi… che significato nuovo ha preso? Restiamo tutti sempre su quel concetto romantico che, pubblicata l’opera, gli organi d’informazione ne parlino a prescindere… come accadeva un tempo forse... invece oggi che cosa succede per davvero?

A dire il vero quasi di nessun disco se n’è parlato a prescindere. Oggi come allora bisogna comunicarlo. La grossa differenza sta nell’annunciarlo, nella capacità dell’uso dei social, nel cinismo che, e qui hai ragione, ha divorato il romanticismo. E poi il “formato” della musica, la fruizione, il non farsi crescere più l’unghia del mignolo per aprire il cellophane del vinile.

E un altro pensiero a cui siamo legati è che, una volta uscita un’intervista, un passaggio radio o altro, accada qualcosa nella carriera e nella vita del progetto e dell'artista… anche questo è un aspetto totalmente rivoluzionato oggi, non è così?

Assolutamente sì, non tutti potevano fare i dischi un tempo, oggi invece potremmo farlo senza sapere né suonare, né cantare. E soprattutto se usciva una recensione su una rivista di musica, il giorno dopo potevi fissare 30 date.

Dunque, per essere più diretti, secondo te promuovere un’opera dell'arte significa apparire / esserci dentro i canali ufficiali perché si possa venir raggiunti a seguito di una ricerca o resta ancora salda la morale ed il bisogno di informare?

Secondo me sono valide entrambe le cose. Difficilmente gli artisti sono appagati se la loro opera rimane nei loro archivi senza che nessuno la consideri. Se loro vogliono arrivare al maggior numero di orecchie ed occhi possibili, chiaramente devono coltivare la loro voglia di apparire. Se apparendo qualcuno si accorge di loro e informa altri è perché l’onda non si infranga sullo scoglio, ma arrivi dolcemente a riva.

Perché nasce l’esigenza di focalizzare il lavoro su un genere come la Trap o il Rap? Esistono dinamiche mediatiche specifiche e ben differenti per questo genere di musica?

L’esigenza nasce da una riflessione sullo sviluppo lavorativo e dall’analisi del percorso promozionale che offrivamo: ci rendevamo conto che i canali tradizionali o non bastavano o non erano perfettamente adeguati non solo al genere, ma anche alla personalità degli artisti. Non esistono mai dinamiche mediatiche ben specifiche, almeno all’interno della mia agenzia, ma sempre lavori organici che hanno come macro obbiettivi le cose messe a fuoco per il giusto e potenziale pubblico, per poi diramarsi verso il generico e, perché no, lo sconfinamento. Però in questo genere una piccola eccezione c’è: il punto di partenza sono le playlist Spotify e gli account Instagram, prima ancora che i tradizionali media, talvolta neanche sfiorati.

Immagino che un simile lavoro di diffusione mediatica sia figlia di un’analisi di mercato, di contenuto… qual è il punto: è un genere sempre rimasto nella “nicchia” dei fedelissimi (un po’ come accade ad esempio con il jazz) oppure si vogliono creare canali perché il pubblico ha sempre più “fame” di questa musica?

Sì, negli studi di registrazioni c’è il 50% di richiesta per produzioni hip hop, nei preventivi che mi arrivano anche, nella top 10 delle radio anche, in quella dei dischi venduti ancora di più. Non si può più chiamare nicchia. Per quello che riguarda la creazione dei canali abbiamo creato T-Rap Style On Air: un format radio in cui, oltre alle interviste e ai brani dei nostri artisti, ci sono news, chart e brani italiani e dal mondo.

Ci sarà una ristrutturazione anche dell’organico per dedicarsi a questa branca specifica? Sono state acquisite collaborazioni specifiche?

No, io e il mio staff studiamo, impariamo, ci ingegniamo e cresciamo insieme. Tutto come al solito!

E veniamo al punto dolente di oggi: quanto conta l’estetica del progetto e quanto il suo appeal sociale, se così possiamo chiamarlo?

Un progetto, se non estetico, non può avere un appeal sociale. Quindi 10 all’estetica, al talento, allo studio, al lavoro e poi, se il messaggio sociale è valido e centrato, disossato dalla banalità e dalla retorica, ben venga.

E per essere più diretti, pensi che oggi conti di più l’apparire che l’essere? Se negli anni ’70 facevamo i processi alle liriche dei cantautori oggi la critica riempie pagine e pagine sui vestiti di scena… come la vedi?

La vedo male. Ricordo quando leggevo da ragazzo dell’invasione del palco di De Gregori, e mi facevo domande. E poi andavo a vedere Guccini e mi dicevo: “Oh, ma a questo possibile che nessuno gli dica un cazzo?” Poi ho visto i Litfiba, i 99 Posse e ho capito. Tutti questi che ho citato erano vestiti malissimo, ed anche io sotto il palco non eccedevo in eleganza. Poi, si sa, tutto fa spettacolo.

La radio oggi come mezzo d’informazione: nell’era delle istantanee dei social, come resiste o come si è ricollocata la radio? Anche su questo fronte il web sta prendendo piede secondo te?

La radio ha la resistenza nel suo DNA, è stata la voce delle rivolte, delle guerre, delle proteste, dei dibattiti. Basteranno questi quattro editori che si spartiscono l’airplay a sotterrarla? Sono convinto di no. Sul web ci provano in molti, ma non sempre si riesce a creare una forte identità, tranne in rari casi, in cui la passione premia. Un personale plauso va alle radio universitarie e ai grandi appassionati che piuttosto che diffondere idee e musica, si trasferiscono sulla rete.

Tra l’altro il Rap è un genere che ha antiche radici sociali… in qualche misura, anche su questo genere di musica c’è un ritorno ai classici? Oppure la direzione è totalmente proiettata al futuro? E in che modo secondo te?

Diciamo che i classici si sentono pochissimo, una produzione vastissima lascia loro poco posto, persino ai capostipiti. Quindi auspichiamoci sempre che i giovani che si affacciano a comporre e ad ascoltare vadano a pescare nel bagaglio dei maestri, non solo dell’hip -hop, ma anche del funky, della black, del cantautorato e dell’elettronica primordiale.

Inutile chiederti quanto conti avere una promozione importante su un disco. Inutile chiederti quanto conti avere un buon management dei social network oggi. Ma veniamo al concetto di casa discografica e distribuzione. Questi due tasselli oggi sono totalmente rivoluzionati e non è un caso che molte produzioni siano divenute autonome anche sotto questo profilo. Che ne pensi?

È inutile che me lo chiedi, infatti. Penso sempre la stessa cosa: talento, studio, lavoro e persone che credono in te, qualsiasi sia il loro ruolo.

Voglio lasciarti con una domanda più spirituale che terrena, per così dire. Molti come me continuano a chiedersi: oggi che senso ha fare un disco? E questa domanda nasce a fronte di una sensazione sempre più invasiva che le sfere della grande comunicazione - o comunque dei circuiti che contano - siano accessi inarrivabili senza i soliti grandi ingranaggi che sostengono le spalle. Come a dire che chi ne sta fuori resterà sempre ai bordi di una periferia sempre meno illuminata. Parola a Fabio Gallo…

Finché i tram vanno avanti in quella periferia, finché sognare non sarà difficile, finché si guarda in faccia la realtà ha senso fare dischi per dare un senso ai sogni propri. Lo dico a te, che hai imparato che nella vita nessuno mai ti dà di più, che vai avanti senza voltarti mai. Va tutto bene, dal momento che ci sei. (cit., ma neanche troppo).

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