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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
21/05/2018
Eddie Cochran
A Rockabilly Hero
Suonava duro, Eddie, scarno e senza fronzoli, e pur non possedendo una tecnica sopraffina, introdusse alcune novità che parecchi, negli anni a venire, cercarono di copiare

Eddie è un ragazzino con un carattere forte, uno che non si da mai per vinto. Ama la musica più di ogni altra cosa e il suo sogno è quello di suonare la batteria nell’orchestra della scuola. Ma per poter suonare la batteria, gli impongono di studiare pianoforte. A Eddie il piano proprio non piace, e decide pertanto di cimentarsi con il trombone. Ma dopo un paio di lezioni viene scartato: la conformazione delle sue labbra  non è compatibile con gli strumenti a fiato.

Sconsolato, il piccolo Cochran torna a casa e chiede al fratello, che strimpella la chitarra, di insegnargli qualche accordo. In pochi mesi Eddie diventa un chitarrista tanto provetto che a sedici anni fonda, con un altro ragazzino suo omonimo, i “Cochran Brothers”.

I due suonano country, hanno un discreto successo locale, incidono qualche 45 giri. Tuttavia Eddie non è soddisfatto : ha un pallino per Elvis The Pelvis,  gli piace il rock’n’roll, non ne può più dei melensi suoni tradizionali, lui si sente nero nell’anima. Molla l’amico e prosegue la carriera in solitaria, arrivando subito al successo con una bella cover di “Twenty Flight Rock “ di Presley. Nel 1957, pubblica il suo unico album, “Singin‘ To My Baby “, e diventa una stella di prima grandezza, tanto da guadagnarsi anche delle comparsate in qualche pellicola dell’epoca.

Il meglio, però, deve ancora venire, perché Eddie nel giro di un paio d’anni (tra il 1958 e il 1959) sforna singoli a ripetizione, tre dei quali diventano veri e propri classici del rock’n’roll: C’Mon Everybody , Somethin’ Else  e la micidiale Summertime Blues.

La sua figura è ormai leggendaria, tanto che lo vogliono a suonare in ogni angolo del globo. Nel 1960, vola, quindi, in Inghilterra, dove la sua popolarità è alle stelle e dove annovera, fra le numerose schiere di fans, anche giovani musicisti del calibro di Paul Mc Cartney, John Lennon e Pete Townsend. Durante il tour in terra d’Albione, Eddie si accompagna a un altro rocker americano, Gene Vincent, e si esibisce spesso anche con una stella locale, Billy Fury.

Il successo è enorme, ogni data registra il tutto esaurito. Il tour  si conclude a metà aprile: Eddie è stanchissimo, logorato dai ritmi frenetici di quel vagabondare da un lato all’altro dell’isola. Decide così di anticipare il ritorno a Londra, dove lo aspetta l’aereo che lo riporterà in patria. Così, la notte del 16 aprile 1960, sale in auto insieme a Gene Vincent, alla fidanzata Sharon Sheeley, al manager Pat Thompkins e all’autista George Martin. L’auto percorre la strada statale A4 a una velocità folle. L’autista si accorge all’ultimo momento di aver sbagliato strada, sterza repentinamente per imboccare una laterale, ma perde il controllo del veicolo, che completamente impazzito si schianta contro un lampione.

Se la cavano tutti, tranne Eddie, che viene sbalzato fuori dal tettuccio e ricade sull’asfalto, battendo la testa. Morirà alle prime luci dell'alba del 17 aprile, all’età di soli 21 anni.

Nonostante la brevissima carriera, il modo di suonare di Cochran lascerà comunque un’impronta indelebile nella storia del rock. Suonava duro, Eddie, scarno e senza fronzoli, e pur non possedendo una tecnica sopraffina, introdusse alcune novità che parecchi, negli anni a venire, cercarono di copiare: l’uso di linee armoniche equivalenti per il basso e la chitarra, contaminazioni country nei suoni rock’n’roll, l’utilizzo dello slap bass. La sua prima chitarra in assoluto fu una Gibson, ma nell’immaginario collettivo, Cochran se ne sta lì, in mezzo al palco, con a tracolla una iconica Gretsch rossa fiammante.