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REVIEWSLE RECENSIONI
A Thousand Years in Another Way
Activity
2025  (Western Vinyl)
POST-PUNK/NEW WAVE ALTERNATIVE
8/10
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03/07/2025
Activity
A Thousand Years in Another Way
Tante band in una, ma non è una questione di personalità multipla. Gli Activity confermano il loro sound in ogni traccia del loro terzo lavoro, mettendo ancora le molteplici anime della loro ispirazione al servizio di uno stile inconfondibile e unico.

Poche band possono vantare un esordio con un tempismo così beffardamente perfetto come gli Activity. Unmask Whoever è stato pubblicato il 27 marzo del 2020, eravamo da poche settimane barricati in casa per il Covid, e insieme ad altri dischi inconsapevolmente in linea con l’emergenza sanitaria usciti nello stesso periodo, se non nello stesso giorno (Void Moments dei Facs, Cointainer dei The Wants e 925 dei Sorry) ha ispirato più di una playlist, colonne sonore calzanti di quella catastrofe mondiale e commento dell’angoscia collettiva che stava soffocando un’umanità piegata all’esperienza estemporanea di una pandemia globale.

Degli Activity, gruppo newyorkese di stanza a Brooklyn, colpivano l’approccio avant e art-un po’ di tutto (noise, post-punk, elettronica), una varietà di stili messa al servizio di una forte personalità compositiva e corredata da un retrogusto compulsivamente opprimente, in grado di gratificare in modo incisivo l’ascoltatore alla ricerca di esperienze crepuscolari

Tre anni dopo, gli Activity davano alle stampe il seguito, Spirit in the Room, mentre la bassista Zoë Browne lasciava il posto a Brianna DiGioia nella line up storica costituita dal cantante polistrumentista Travis Johnson, Jess Rees alla chitarra, voce e tastiere, e dal batterista Steven Levine. Una tacca sotto in quanto a originalità (è la legge non scritta del secondo album) compensata però dalla cupezza dell’ispirazione di fondo, stato d’animo di cui Travis Johnson avrebbe fatto volentieri a meno in quanto dovuto alla scomparsa della madre. 

Giunti al loro terzo album, A Thousand Years in Another Way, gli Activity si confermano abili tessitori di atmosfere sperimentali ricamate da un graffiante post-punk smaccatamente moderno, tra rumori allarmanti e originali incursioni elettroniche. Un stile che conferma la loro unicità ma in un disco maturo che aspira a diventare una pietra miliare della loro carriera.

Anche questa volta c’è stato un cambiamento nella formazione, con l’avvicendamento (programmato e concordato amichevolmente) tra Stephen Levine - membro formatore degli Activity e amico di lunga data di Johnson - con Brian Alvarez, il nuovo batterista che avrà il compito di portare nei live e nelle future registrazioni l’esperienza e il contributo dato dal suo predecessore rimasto fino alla pubblicazione del nuovo disco.

 

A Thousand Years In Another Way è un’opera che nasce dalla necessità di dare forma all’alienazione e alla disperazione dei nostri tempi ma con la volontà di esorcizzarne le conseguenze, per offrire all’ottimismo una possibilità. È Travis Johnson in persona a mettere le cose in chiaro: l’amore non ha ancora gettato la spugna in questo presente in cui il male è il vero protagonista. In dieci tracce gli Activity ci trasmettono la loro percezione di tutto questo disagio, con una formula che alterna sperimentazione a squarci di linearità, senza compromessi con il senso di paranoia di sottofondo, il vero marchio di fabbrica della band.

Complice la produzione di Jeff Berner, già collaboratore degli ultimi Psychic TV, un collettivo che di mettersi di traverso nella ricerca dell’agio musicale se ne intende. A lui il compito di affinare la forma con cui la band riesce a sviluppare le composizioni partendo da campionamenti casuali e improbabili riff di chitarra, e di assecondare l’impeto manipolatorio e iconoclasta di Johnson e soci volto al disorientamento senza tregua degli ascoltatori.

Il risultato è un insieme di brani in cui la forte personalità degli Activity sembra in costante tensione con elementi e corpi estranei, invisibili ma presenti, per un risultato davvero sorprendente. Ne deriva una perpetua sensazione di incertezza, un’angoscia che possa accadere qualunque cosa in qualsiasi momento, traccia dopo traccia.

 

"In Another Way", brano di apertura già pubblicato come singolo, rispecchia in pieno le intenzioni dell’intero disco. Una composizione in cui la totale assenza di dinamicità tra le parti toglie il respiro, un incedere ipnotico che, fino all’evaporazione dell’ultimo suono, richiede nervi saldi.

In "Piece of Mirror" si percepisce la seconda anima degli Activity, del tutto complementare alla precedente. Jess Rees, con la sua voce femminile, prende il posto di Travis Johnson, mentre gli intrecci di chitarra del brano di apertura lasciano spazio alle tastiere, ai campionamenti e a ritmi essenziali, una discesa verso il minimalismo che sfocia in "We Go Where We're Not Wanted", il momento più inquietante di tutto l’album, un vortice definitivo diretto al punto più profondo del baratro, che sembra non concludersi mai. Le due voci si amalgamano perfettamente nella successiva “Your Dream”, il momento in cui la forza dirompente di A Thousand Years in Another Way ci concede una pausa, riportandoci entro i parametri della nostra zona di conforto, almeno fino al crescendo finale e ai suoi toni dark.

In "Good Memory" è protagonista la voce di Brianna DiGioia che, nelle strofe, gioca con una linea di basso che conosciamo molto bene, quella di “Glory Box” dei Portishead, in uno sfuggente tributo destrutturato al trip-hop che persiste anche nella successiva “Scissors”, cantata da Jess Rees, la canzone più trascinante e convincente del disco grazie alle sue atmosfere che invece rimandano a “100th Window” dei Massive Attack. Un tris completato dalla traccia successiva, "Heavy Breathing", un brano che sembra arrangiato ai tempi di “Songs Of Faith And Devotions” e della deriva chitarristica senza ritorno dei Depeche Mode.

 

A questo punto il disco ci sorprende piacevolmente con un altro trittico, un vero e proprio plot twist finale. "Her Alphabet", brano incredibilmente delicato, è la prova definitiva della personalità poliedrica degli Activity, maestri nel condurre gli ascoltatori all’interno dei loro paesaggi sonori. In "I Came Here to Harm You" ritroviamo l’anima post-punk e più elettrica del loro sound, fino al capolavoro conclusivo, “The Beast”, con il suo ingresso di batteria a 5 minuti e rotti della canzone che ci ricorda di che stoffa sono fatti gli Activity, prima di inghiottirci nella loro apocalisse finale promessa e mantenuta dal titolo. Un degna chiusura per un reportage di un mondo dai giorni contati ma che, tutto sommato, ci strega ancora con la sua struggente bellezza. 

A Thousand Years in Another Way è un concept ambizioso ma di cui gli Activity si dimostrano perfettamente all’altezza, probabilmente il disco della svolta per una band che si distingue in originalità in un panorama musicale spesso troppo evocativo e nostalgico di cose già sentite.