Angelo Trabace è un pianista, autore e compositore di origine lucana da molti anni trapiantato a Milano. Diplomato in pianoforte al Conservatorio di Matera (dati anagrafici importanti per capire il titolo dell’album) nel 2021 pubblica il suo primo album, Sbarco, e nel corso degli anni ha collaborato con diversi musicisti quali Colapesce Dimartino, Francesco Bianconi, Tommaso Paradiso, Vasco Brondi.
Abbash, il nuovo album dalla bellissima copertina, nasce dalla sinergia, oltre che col suo accompagnatore “classico” Matteo Cantaluppi, con il fratello Alessandro e il padre Giuseppe, entrambi musicisti: il primo al violino, basso elettrico e altra strumentazione, il secondo al sax.
Il mood del disco viene ben introdotto dalla struggente "Not to disturb the neighbors", seguita da "Animali Confusi", primo singolo estratto dall’album, dove tra arpeggi di piano di scuola neo-classica, incomincia a svilupparsi un dialogo tra strumenti che diventerà via via, nello scorrere dei pezzi, la cifra stilistica dell’intera opera (personalmente non ho apprezzo molto l’utilizzo della voce “filtrata”, ma trattasi di idiosincrasia personale).
La successiva "Road to a green desert" è uno dei vertici compositivi dell’LP: l’intro pianistico molto suggestivo a metà del brano viene accompagnato da archi e suoni acquatici che creano una atmosfera liquida e cangiante, che si irrobustisce verso la coda del brano.
Riservandomi di tornare in un’altra occasione sul concetto di neo-classical, ascoltando brani del genere, nonché il successivo "Go as a river (intro)", vengo sempre più a comprendere le ragioni per le quali una etichetta gloriosa come la Deutsche Grammophon ha deciso di mettere sotto contratto artisti come Max Richter (a cui Trabace per alcuni aspetti può essere accomunato) o il duo Balmorhea; che sia questa la possibilità di uscire da steccati oramai consolidatesi nel tempo?
Difatti, quella che chiamiamo - anche per comodità linguistica - musica classica, all’epoca della sua produzione poteva denifirsi come tale, o, più semplicemente e fedelmente, contemporanea?
In ogni caso, per tornare al disco della presente recensione, il primo lato dell’album si conclude con la mediterranea "Jonio", dove l’amalgama sonora tra piano, archi e fiati sembra veramente cullarci con le sue scale discendenti, a figurare il moto perpetuo dello sciacquio delle onde sul bagnasciuga.
Dopo "Don’t be afraid of black notes", pezzo introduttivo del lato B dell’album (anche qui la voce…) in "Sons" è il sax che si prende la scena su di un tappeto di insonorizzazioni oniriche a cui via via si aggiungono gli altri strumenti.
"Mom" ci riporta al pianismo impressionistico francese di fine Ottocento e inizi del Novecento, una soave barcarolle sui cui si inerpicano le note del violino, che ritornano dopo un etereo pizzicato che sul finire del brano dialoga con il pianoforte.
Un altro breve intro "Go as a wind" di sapore atmosferico ci introduce nella title track "Abbash", che, dopo un delicato intro pianistico, si apre tramite un giro di basso e a vocalizzi (qui più apprezzati) per dare anche sfogo ad un break finale quasi rumoristico.
La meditativa "Vulture" (presumo omaggio al monte omonimo) è il terzo momento rappresentativo della poetica musicale di Trabace, un brano che suggestiona per le atmosfere lunari e che richiama con sapori etnici una sorta di fusion post-rock
La parola finale spetta a "Your brother" i cui tocchi pianistici, lasciano spazio a vocalizzi punteggiati da un lieve percussionismo su cui, in coda, fluttuano le note di un flauto.
In conclusione lascio spazio all’autore, che così descrive la sua ultima opera;
"Il termine dialettale 'Abbash', oltre al suono magico ed esotico che possiede, racchiude un significato che va oltre la nostalgia per i luoghi in cui sono nato e cresciuto. Non è solo un concetto legato ai paesaggi che mi mancano, ma una vera fascinazione per il suo significato letterale: "Giù, sotto” ci sono dimensioni nascoste, forze che si muovono silenziosamente e agiscono nel profondo, impercettibili ma potenti. Come il movimento caotico e (apparentemente) invisibile delle radici. Col tempo ho imparato a guardare a quel "giù" in modo diverso, scoprendone un valore nuovo".
Dalla presentazione dell'album di domenica 11 maggio presso la Casa degli Artisti a Milano.
Photo Courtesy: Alessandra Getti