Con Actual people, opera prima della regista oggi ventinovenne Kit Zauhar, torniamo al cinema indipendente americano, quello realizzato con budget risicati, mezzi poveri e fatto principalmente di discorsi e scambi di battute tra personaggi.
Il film della Zauhar, nata negli States da madre cinese, può ascriversi facilmente al genere del mumblecore in virtù di una vicenda portata avanti senza ricorrere alla rappresentazione di grossi eventi ma basata sulla costruzione di personaggi e situazioni visti in una quotidianità ottenuta facendoli parlare, portandoli a esprimere i loro dubbi e i loro malesseri, seguendoli mentre tentano di percorrere nuove strade sentimentali, mentre rimuginano sulla loro esistenza, il tutto sotto l'occhio dello spettatore che ha l'impressione di assistere in toto a uno stralcio di vita della protagonista, qui interpretata dalla stessa regista.
Forse per offrire più facilmente un'impressione di realtà, forse per questioni di praticità e budget, la Zauhar sceglie un approccio autobiografico per il suo esordio nel lungo, l'assetto familiare della protagonista richiama infatti in maniera precisa quello reale della regista, la sorella per esempio è interpretata da Vivian Zauhar, facile ipotizzare sia realmente la sorella di Kit, così come nel film la madre è cinese e il padre presumibilmente americano.
Girato in una decina di giorni con una spesa di circa 10.000 dollari Actual people è l'esempio di come si possa realizzare qualcosa di interessante senza dover per forza muovere somme di denaro pari al PIL di un piccolo Stato magari situato ai margini dell'impero del capitale.
Riley (Kit Zauhar) è una giovane ragazza giunta alle ultime settimane d'università; il momento della laurea si avvicina ma per lei c'è ancora lo scoglio di quell'ultimo esame che non è andato troppo bene e che potrebbe rallentare le cose garantendo una sicura delusione ai suoi genitori.
A New York, città dove frequenta i suoi corsi di studi, Riley condivide un appartamento con un ragazzo con il quale una volta ha fatto sesso ignorandolo subito dopo e che ora non la vorrebbe più tra i piedi, frequenta un gruppetto di amiche con le quali partecipa a diverse feste durante le quali Riley cerca di sondare il terreno per un possibile nuovo aggancio sentimentale, il suo vecchio ragazzo (Randall Palmer) con il quale era stato per i primi anni di università l'ha lasciata per un altra, cosa che Riley non ha ancora dimenticato né probabilmente perdonato.
A una di queste feste Riley incontra Leo (Scott Albrecht), come lei anche lui originario di Philadelphia, se ne invaghisce, ci finisce a letto e inizia a fantasticare su una relazione duratura al quale lui non sembra essere troppo interessato.
Con l'avvicinarsi della fine del percorso scolastico Riley inizia a essere assalita da dubbi e ansie riguardanti il futuro: è davvero giunto il momento di diventare adulti? Con chi dividerà il suo tempo e soprattutto cosa farà da grande? Dove vivrà, a New York o a Philadelphia? A tutte queste domande Riley non sa dare nessuna risposta.
Con un film molto semplice e portato a casa con il minimo dispendio di fondi Kit Zauhar tratteggia in maniera efficace e diretta almeno una buona fetta della sua generazione ("sei proprio una millenial" la insulta il suo coinquilino). Emerge su tutto quell'incertezza e quell'ansia per il futuro, ma anche solo per la quotidianità prossima ventura, che colpisce molti giovani d'oggi: il senso di inadeguatezza, la paura di ciò che ancora non è dato, la fragilità dei rapporti sono tutti elementi d'insicurezza che ben si condensano nella scena della seduta con la psicologa messa a disposizione dall'istituzione scolastica che per Riley sembra essere un forte punto di riferimento, almeno temporaneo, nonostante la precarietà di questa relazione professionale. E questo è solo uno degli elementi che vanno a costruire una situazione d'insieme sempre pronta a propendere verso la disperazione o il panico.
Quella della Zauhar si pone quindi come una voce interessante e schietta nel panorama cinematografico giovane, più stratificata di quel che può sembrare a un primo impatto e a una prima visione, la regista racconta con naturalezza ciò di cui ha evidentemente conoscenza e consapevolezza.
Non ci sono grandi segnali di stile, si predilige un approccio naturale e spontaneo, molta camera a mano, nulla di troppo studiato (almeno all'apparenza, poi chissà), la narrazione è inframezzata da qualche video che richiama i metodi di relazione e contatto in voga oggi, pratica che in realtà non sembra essere poi così integrata al resto del film né realmente funzionale.
Nulla di rivoluzionario ma almeno Actual people gode di quella freschezza e del giusto piglio necessari per mantenere vivo l'interesse per la scena indipendente U.S.A. alla quale ogni tanto fa piacere tornare.