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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Adesso potete applaudire
Giacomo Baldelli
2025  (Arcana Editore)
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
10/11/2025
Giacomo Baldelli
Adesso potete applaudire
Un libro scritto da un addetto ai lavori per i non addetti ai lavori: “Adesso potete applaudire” individua nell’attimo di incertezza alla fine di un concerto di musica contemporanea, quel senso di imbarazzo e disorientamento che coglie l’uditorio. Chi vuol capire le ragioni (ed una delle possibili soluzioni) del distacco occorso tra la stessa e il pubblico, troverà in questo libro una serie di spunti su cui riflettere.

Giacomo Baldelli, chitarrista di estrazione classica residente da molti anni a New York, propone nel suo libro Adesso potete applaudire una visione personale e, lasciatemelo dire, finalmente accessibile sulla musica contemporanea, rivolta soprattutto a un pubblico non specialista, ma curioso di inoltrarsi nel mondo (molto variegato) di tale “multiverso” musicale.

Da tale punto di vista, il titolo del libro, Adesso potete applaudire, risulta esemplificativo: rappresenta quel momento di sospensione e imbarazzo che spesso segue un concerto di musica contemporanea, dove il pubblico non sa se applaudire o aspettare ancora.

Non abbiate quindi paura, non si tratta di un trattato di musica scritto per addetti e professionisti “svezzati” da tale tipo di ascolto, ma è pensato proprio a favore di chi, curioso ma timoroso di incontrare delle difficoltà, decide di non abbandonare quella che l’autore definisce la propria comfort zone, e così facendo rischia di perdere un “sacco” di bella musica.

Quel momento di sospensione viene a simboleggiare il rapporto complesso e spesso problematico tra questa musica e il suo ascoltatore, tema centrale del libro (esplicitato dal sottotitolo dello stesso Vademecum per non avere paura della musica contemporaneae dalla stessa copertina che riecheggia “Fear of music” dei Talking Heads)

Baldelli analizza le cause dello scollamento tra tale genere (e sottogeneri collegati) di musica e l’ascoltatore, sottolineando che si tratta il frutto di malintesi e pregiudizi da superare sia da parte di chi realizza questo tipo di musica, sia da parte dell’ascoltatore “medio”.

 

Il merito maggiore del libro è quello di un parlare chiaro e senza sotterfugi: la distanza tra la musica contemporanea e il pubblico, quel distacco che si è oramai radicato, non si può attribuire solo a suoni "strani" e “poco comprensibili” (che talvolta lo sono veramente) ma anche a ulteriori molteplici fattori, inclusi pregiudizi e incomprensioni, non solo da parte dell’ascoltatore non avvezzo ad ascoltare sonorità non mainstream, ma anche da parte di chi compone, promuove e ascolta questa musica.

Se da un lato difatti la lontananza di un pubblico positivamente recettore di tali musiche, spinge chi le compone a una sorta di autoreferenzialità “colta”, (in diverse parti del libro Baldelli difatti critica un certo "accademismo snob" che rende la musica contemporanea difficile da fruire per la massa) d'altra parte, occorre riconoscere che il distacco del pubblico è soprattutto legato allo scardinamento del sistema tonale tradizionale (non è un caso, difatti, che, come già in precedenza scritto su altre pagine di Loudd, la corrente del post-minimalismo, che reintroduce melodie e armonie tonali, è indicata come l'unica ad avere un pubblico significativo), esemplificata da un paragone che veramente colpisce nel segno.

Baldelli afferma che la musica contemporanea sta alla musica classica come il punk sta alla musica rock, sottolineando come entrambe le rivoluzioni abbiano rotto con il passato in modo profondo.

La musica contemporanea ha difatti avuto un impatto rivoluzionario sul sistema tradizionale, ma quando questa rivoluzione, per le ragioni sopra esposte, è diventata accademia e così ha perso parte del suo significato originario.

 

Per superare questa impasse, l’autore, ponendosi dalla parte dell’ascoltatore, suggerisce di ascoltare più musica contemporanea invece di parlarne troppo, poiché solo l'ascolto frequente può ridurre la diffidenza e aumentare la possibilità di apprezzare qualche opera contemporanea (con una chiosa sottilmente polemica, ma assolutamente veritiera, anche nei confronti dell’industria musicale live vincolata alla “performance”, letto solo sotto l’aspetto del ritorno economico dell’evento proposto).

Per tale motivo il libro si conclude con due playlist di brani contemporanei: la prima scelti da Baldelli, la seconda da alcuni suoi amici, con la reiterazione dell’invito, proposto sin nell’introduzione del volume, a trovare la "porta giusta" per entrare in questo mondo musicale.

Gli autori proposti sono molti e le sonorità proposte mappano molte proposte musicali in diversi territori della musica contemporanea.

 

Come indicato nell’intervista, accogliendo l’invito dell’autore, il mio criterio è stato quello di ascoltare i brani proposti e poi affidarmi al mio gusto personale, ritengo difatti che tale metodo empirico sia da un lato quello più semplice, dall’altro di maggiore efficacia e immediata applicazione (non lo facciamo già difatti per tutta la musica, al di là del genere, che ascoltiamo?).

A questo punto lascio la parola al diretto interessato per l’intervista che segue

 

***

 

Ciao Giacomo, benvenuto su Loudd, inizio sempre le mie interviste con una domanda con la quale chiedo a chi incontro di presentarsi, non è un vezzo o un cliché da rispettare lo faccio per una ragione che reputo più profonda: sono convinto che ognuno abbia una sua storia personale e che quello che propone (libro, disco, opera figurativa, film, fumetto) sia uno dei frutti di tale storia unica. Quindi, quale è la storia di Giacomo e quali sono le ragioni che ti ha portato a scrivere questo libro?

Io sono un chitarrista cresciuto a Reggio Emilia e residente a New York dal 2014. Sono un musicista classico, laureato in conservatorio e docente di chitarra classica. Fin da giovanissimo ho sviluppato un grande interesse verso la musica contemporanea, l’avanguardia, la musica d’oggi, quella che per molti è “musica strana”. Ho sempre trovato molto più interessante cercare di costruire la musica del presente e del futuro, piuttosto che buttarmi nel mucchio di quelli che vedono nel riproporre al meglio la musica del passato la loro sfida. Questo, unitamente ai miei interessi e la mia carriera parallela di musicista rock, podcaster e autore, ha fatto di me un musicista classico “alternativo”. Dopo quasi venticinque anni di attività nel mondo della contemporanea, con questo libro, ho cercato di illustrare la mia personale visione sullo stato attuale di questo genere musicale.

 

Per proseguire partirei subito dal titolo che trovo molto appropriato, Adesso potete applaudire, perché coglie quel momento di “sospensione”, misto di silenzio e imbarazzo che occorre spesso alla fine di un pezzo o di un concerto di musica contemporanea: “è finito? O succede ancora qualcosa”?  Dicci le ragioni di tale titolo.

Per anni ho avuto in testa solo questo titolo, molto prima di pensare ai contenuti di questo libro. Hai colto benissimo l’idea: il momento di “sospensione”, di imbarazzo che intercorre tra la fine di un brano di musica contemporanea e l’inizio degli applausi (che il più delle volte sono incerti e timorosi) racchiude in sé tanto del rapporto tra questa musica e il pubblico. E questo è il tema che mi interessa di più e che mi interessava analizzare in questo volume.

Perché si è sviluppato questo distacco, questo scollamento tra musica e pubblico? E davvero solo colpa dei suoni “strani”, o c'è dell'altro? Alla fine, sono arrivato alla conclusione che ci siano davvero tanti malintesi e pregiudizi da sfatare, nati tanto da colpe riconducibili a chi questa musica la fa, ma anche a chi ne parla, a chi (non) la promuove e a chi non sa come ascoltarla. A differenza del 99, 9% dei libri che parlano di musica contemporanea, questo volume non è destinato agli addetti ai lavori, ma a chi di questo argomento ne sa poco o nulla.

 

Trovo il libro molto interessante e, caso abbastanza non usuale, scritto in maniera tale da non “affaticare” il lettore con astruserie o iper-tecnicismi fini a sé stessi. Partirei da una prima considerazione, ovvero il distacco tra i fruitori di musica (mai così numerosi nell’intero globo a seguito dello streaming offerto da numerose piattaforme musicali) e i compositori di nuova musica. Il dato interessante da te rilevato è che, come descrivi nel libro, tale circostanza non può essere oggetto di una lettura manichea, con le ragioni tutte da una parte a scapito dell’altra. Nel tuo libro, infatti, da un lato stigmatizzi un certo “accademismo snob”, una “autoreferenzialità colta” riservata ad adepti e non per la massa “comune”; dall’altro lato, soprattutto come da te indicato nel capitolo 4 Paura eh, il distacco del pubblico è legato allo “scardinamento” del sistema tonale (non è un caso difatti che l’unica “corrente” della musica nuova che ha un suo pubblico rilevante sia il post-minimalismo – altri lo definisco modern classical – che reintroduce la melodia e “giri armonici” tonali). Come se ne esce da questo “impasse”?

Dopo tanti anni di riflessioni su questo tema, sono giunto alla conclusione che questa impasse si possa superare solo parlando meno e ascoltando di più. Mi spiego meglio: a mio avviso, la causa principale del distacco tra musica contemporanea e pubblico sta nel fatto che quest’ultimo percepisce questo tipo di musica come il prodotto ultra-cervellotico di un gruppo di nerd che sanno parlare solo a loro stessi. In certi casi può essere vero, ma non è sempre così’. Se invece di parlare di musica “contemporanea”, come se fosse una categoria a parte che per essere fruita debba essere spiegata e capita, si perdesse meno tempo e se ne ascoltasse tanta, è assai probabile che il pubblico ne sarebbe meno intimorito. Più la si ascolta, più è possibile accrescere la possibilità di incappare in un brano che ci piace. Questo timore e inadeguatezza che il pubblico ha verso questa musica, nel 2025 non ha più ragione d’esistere.

 

Nel libro, nell’incipit di un capitolo, scrivi una frase che ha colpito subito la mia attenzione: “La musica contemporanea sta alla musica classica come il punk sta alla musica rock”? Vuoi declinare un attimo per i nostri lettori tale affermazione (peraltro ben spiegata nel volume)?

Quando pensiamo al punk, l’immagine che scatta subito in mente è gente come Sid Vicious & Co. che salivano sul palco a fare casino, a investire il pubblico con rumore e volume, disintegrando in tre minuti di musica suonata senza fronzoli tecnici la pomposità (e la pallosità) degli album tripli degli Yes. Senza entrare nel dettaglio della portata culturale di quel movimento, il punk è stata una rivoluzione musicale. Trasferendo il discorso alla musica classica, la musica moderna prima e quella contemporanea poi, sono nate da principi di rottura molto simili. Anzi, dal mio punto di vista, pur senza giubbotti borchiati, creste viola (e con una competenza musicale ben più ampia rispetto a quella dei Ramones), i “danni” fatti da questa musica nei confronti del sistema tradizionale sono stati ben più profondi. Ecco perché poi da parecchio tempo viviamo in un glitch del Matrix. Quando questa rivoluzione e diventata accademia, ha perso molto del suo significato.

 

Un’altra affermazione che ha destato il mio interesse e che accomuna la musica contemporanea alla musica rock-pop è quando scrivi che la musica contemporanea va ascoltata dal vivo, la gestualità del musicista non è una parte accessoria ma integrante della performance. In sintesi, non si tratta solo di partecipare ad un concerto ma ad una esperienza. Mentre questo di solito viene quasi naturalmente percepito per il fruitore di un concerto appunto rock e/o pop, l’idea dell’esecuzione dal vivo di un concerto di musica contemporanea rimane legata ad una stereotipata immagine di un conservatorio/sala di concerto austera e formale.

In realtà quello che volevo dire è leggermente diverso: quello che intendevo io e che la musica pop/rock la puoi ascoltare su disco, su Spotify e riesce ad arrivare, ad emozionare, ad essere avvincente anche in quel modo. Adesso, per esempio, c’è tutto questo gran parlare di Bruce Springsteen per via del biopic Deliver Me from Nowhere. Ecco, io Springsteen l’ho visto dal vivo, a San Siro ed è stata un’esperienza indimenticabile. Al tempo stesso, però, credo che Born to Run, e lo stesso Nebraska, che sono album “in studio” riescano a trasmettere emozioni diverse, profonde. Diverse dal live, ma comunque forti. Ecco, quando parliamo di musica contemporanea, non credo che un disco “in studio” riesca a sempre rendere giustizia ad un brano. In molti casi, la gestualità, i movimenti del musicista, non sono aspetti accessori, ma necessari e parti integranti della performance, senza i quali non si può cogliere appieno il significato della musica eseguita.

 

Infine, ultima domanda: il volume si conclude con due playlist, una selezione di brani/opere scelti da te, un’altra suggerita da una serie di tuoi amici. Ti dico come mi sono rapportato io: ho ascoltato i brani (alcuni di autori da me perfettamente sconosciuti) e liberamente ho deciso che di alcuni autori mi sarei mosso per ascoltare più opere, di altri nemmeno per sogno, aderendo al tuo suggerimento, posto nel Prologo, di trovare la “porta giusta”. Ritengo utile chiudere la nostra intervista con questo concetto che ti chiederei di riassumere per i nostri lettori perché mi pare una delle chiavi centrali per capire cosa ti ha spinto a scrivere Adesso potete applaudire.

Direi che il tuo modo di procedere è quello che mi auguro venga seguito dai lettori del libro. Nonostante Adesso Potete Applaudire sia un’analisi spesso critica del mondo della contemporanea, credo sia anche una celebrazione e per certi versi una strenua difesa di questo tipo di musica. A memoria, non mi vengono in mente altri volumi (che non siano manuali di musicologia), dove vengono citati e raccontati così’ tanti brani di musica contemporanea. Come dicevo prima, l’esposizione a questa musica, è l’unico modo per trovare qualcosa che possa entusiasmarci. I media non ci aiuteranno in questo senso, sono interessati ad altro.