La storia dei Kingswood ricalca, più o meno, quella di tante giovani band che cercano di farsi largo nel periglioso mondo dello star system. Australiani di Melbourne, Fergus Linacre (lead vocals), Alex Laska (lead guitar & vocals), e Justin Debrincat (drums & backing vocals), si mettono insieme nel 2005, compongono nel garage di casa, iniziano a suonare in vari locali della città. Vengono notati e invitati a vari festival nazionali (Splendour In The Grass, Queenscliff Music Festival, etc.), dove impressionano per la potente linea di fuoco dei loro live act e per un repertorio rock blues muscolare e di grande effetto. Nel frattempo, è il 2012, si autoproducono tre singoli (Yeah Go Die, Medusa and She's My Baby), pubblicano un Ep (Change Of Heart), entrano in classifica con un’altra canzone (Ohio) e vengono presi ad aprire il tour australiano degli Aerosmith. E’ l’abbrivio per il definitivo successo, che arriverà nel 2014, quando esce il loro primo full lenght (Microscopic Wars), che viene prodotto dal tre volte vincitore di Grammy Award, Vance Powell, e scala le classifiche nazionali fino alla sesta piazza, guadagnandosi una nomination agli Aria Music Award (i Grammy australiani). A questo punto, il più è fatto: il nome dei Kingswood rappresenta non più una speranza ma una realtà, il pubblico c’è, la critica apprezza. Basterebbe cavalcare l’onda lunga del successo e aggredire il mercato internazionale, visto che la formula è vincente, le canzoni sono valide e la band è rodatissima da dieci anni di gavetta. E invece? Invece, i Kingswood stanno fermi tre anni per comporre After Hours, Close To Dawn, che invece di sfruttare il lavoro svolto finora, inverte la rotta e sfodera tutt’altro appeal. Dal rock blues in grana grossa degli esordi (guardatevi il video di Ohio per farvi un’idea), i tre irsuti rocker mettono in piedi una variegata scaletta basata sulla tripartizione rock-soul-pop (ma è il soul a farla da padrone), impreziosita da arrangiamenti suntuosi e da un gusto per la melodia davvero inaspettato per una band adusa a randellare senza posa. Apre il pianoforte di Looking For Love, la cui declinazione soul trova l’esatto punto di fusione fra John Legend e gli Steely Dan. E a proposito di Donald Fagen e Walter Becker, ascoltatevi la sensualissima Belle, un pezzo che non avrebbe sfigurato nella scaletta di Pretzel Logic (e quel suono, modernizzato, compare anche nell’ottima Rebel Babe). L’unica concessione al passato è Like Your Mother, basso e chitarre distorte e un pianoforte che spinge il rock blues degli esordi verso una dimensione vagamente honky tonk. Il resto della scaletta, invece, spiazzerà i fans della prima ora, conquistando però le orecchie di chi preferisce il lavoro di cesello al taglio netto. Creepin, ad esempio, è un brano che fonde magnificamente una inusitata vena soul con il retroterra rock della band, e quel basso distorto e la chitarra sull’orlo di una crisi di nervi giocano di contrappunto su un’accativante melodia dal mood malinconico. Golden è un singolo bomba, una morbidezza soul pop attraversata da un assolo di chitarra minimal ma superbo, Atmosphere spinge la bella melodia pop in un groviglio di suoni arrangiati con modernità, mentre il folk di Big City, un’anomalia posta a metà disco, evoca magnificamente atmosfere bucoliche alla Midlake. After Hours, Close To Dawn è il disco inaspettato di un gruppo che ha deciso di modificare il proprio suono prima che questo fosse diventato un marchio di fabbrica identificativo. Una scelta azzardata per un band che si affaccia da poco sui palcoscenici che contano, ma che, a dispetto del rischio preso, coglie il centro del bersaglio, testimoniando una grande versatilità di scrittura e un patrimonio di idee che solo una grande band possiede. Sorprendente.