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REVIEWSLE RECENSIONI
27/05/2022
SAULT
Air
È uscito il sesto disco del collettivo SAULT, spiazzando tutti quanti con la sua natura orchestrale. Uno sfizio musicale che gioca con uno dei loro punti forti: mettere al centro la musica togliendo tutto il superfluo.

Le band fantasma sono sempre esistite e sempre esisteranno e si può dire che, al netto delle variabilità specifiche, si contraddistinguano per avere nella propria cifra stilistica una certa dose di follia. In questo ultimamente i SAULT sono diventati dei professionisti, basti pensare a quello che hanno fatto con il penultimo disco, Nine. Se non lo avete sentito o ve lo fate passare da qualche amico (come si faceva quando ero ragazzo) oppure mi dispiace, ma non lo sentirete mai, visto che è rimasto pubblicato per 99 giorni e poi è stato tolto da tutti gli store, lasciando agli ascoltatori la possibilità di ascoltarlo soltanto tramite supporti fisici. Mi colpì molto l’anno scorso vedere la fretta che chiunque amasse il collettivo aveva nel cercare di accaparrarsi almeno il formato digitale del disco: c’era la coscienza comune di stare assistendo ad un fatto unico nel suo genere. Una cosa da raccontare ai nipoti insomma.

Nel 2019, inoltre, i SAULT hanno pubblicato due dischi a pochi mesi di distanza: 5 e 7, usciti uno in primavera e l’altro in autunno, comprensivi di “Untitled (Black Is)” e “Untitles (Rise)”. Un’azione magari non sempre comprensibile livello discografico, ma infondo i SAULT hanno abituato i loro ascoltatori ad essere più concentrati sulla musica proposta che sulle dinamiche che la circondano.

Con i SAULT normalmente si parla di collettivo perché per le poche informazioni che si hanno sembra la definizione più corretta: una collaborazione duratura tra il produttore Dean Josiah Cover, Cleo Sol, autrice e voce femminile, e Kid Sister, a cui vengono affidate le parti rap; a corollario vi sono i personaggi randomici che gravitano loro attorno, come Michael Kiwanuka. Oltre a questo di loro si sa poco altro, e in fondo va bene così.

Con l’uscita di Air, di conseguenza, nessuno sapeva bene cosa aspettarsi (oltre al fatto che nessuno se lo aspettava proprio), per cui appena arrivata la notifica di uscita mi aspettavo di sentire un nuovo grande album del collettivo che ricalcasse il mondo neo-soul, funk e r&b a cui ormai ci hanno abituati, sicuramente non un disco interamente orchestrale. Procediamo quindi per punti e cerchiamo di capire cosa ci stanno dicendo i SAULT, perché ce lo stanno dicendo e anche molto forte.

Gli elementi a disposizione ancor prima del primo ascolto non sono molti: la copertina (attorno cui vi è il curioso fatto per cui, prima di comparire la canonica cover nera con il titolo stilizzato, ne è uscita una raffigurante un ragazzo in costume su di un trampolino posto sopra un pianeta, poi misteriosamente scomparsa), i titoli e gli autori dei brani. Il disco conta 7 tracce per 45 minuti di musica e i titoli che si possono leggere sono i seguenti: “Reality”, “Air”, Heart”, “Solar”, “Time Is Preacious”, “June 55” e “Luos Higher”. Una connessione di senso è difficile da captare, ma ricordano molto la soundtrack di un film. Andando a guardare i credits, invece, si può notare come anche qui siano impegnati nella scrittura dei brani Cleopatra Nikolic (ovvero Cleo Sol) e Dean Josiah Cover, mentre per le parti orchestrali l’arrangiamento sia curato da Rosie Danvers di Wired Strings e i cori da Music Confectionery. Detto questo, quindi, non rimane che buttarsi a capofitto nel disco e concentrarsi nell’ascolto.

Air, in quanto disco interamente orchestrale, colpisce subito per l’epicità che presenta fin dal primo brano, dove l’orchestra si intreccia al coro, sembrando quasi provenire dal mondo di Morricone o di Hermann.

Poi però, continuando, l’album si fa a tratti più intimo a tratti ansioso, quasi volesse farci fare un percorso, proprio come fosse la colonna sonora di un film.

Il brano che mi colpisce di più è “Time Is Preacious”, forse perché presenta molti più elementi soul e r’n’b ed è quindi un po’ più vicino alla storia del collettivo. La cosa interessante è che in tutta la seconda parte del brano il coro canta delle parole ben definite, le uniche presenti in tutto il disco e forse proprio per questo così potenti:

 

Don't waste time 'cause time is precious

It's your only time you've got here

Life will always bring its pressures

Use it wise and keeps those treasures

 

(Non sprecare il tempo, poiché il tempo è prezioso

È il solo tempo che hai a disposizione qui

La vita ti causerà sempre pressioni

Usalo con saggezza e preservane i tesori)

 

Air non è un disco semplice, e sicuramente non lo si può ascoltare mentre si fa altro, ma forse è anche questa la sua potenza: rimette al centro la musica e tutta la sua potenza evocativa, spogliata di tutto ciò che è inutile. Air è un disco da godersi lentamente e da meditare, che chiede di poterci guidare in un viaggio che non ha immagini ma che forse anche per questo diventa ancora più interessante, perché oltre a chiederci di poterci guidare ci chiede di metterle noi quelle immagini, di modo che possa così diventare anche il nostro percorso, il nostro disco.