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REVIEWSLE RECENSIONI
Alice inizia a capire
Lowinsky
2025  (Waddafuzz Records/Rocket Man Records )
INDIE ROCK
8/10
all REVIEWS
24/09/2025
Lowinsky
Alice inizia a capire
Un gran bell’album questo "Alice cerca di capire", ulteriore dimostrazione che nell'indie rock quel che conta è solo saper scrivere belle canzoni. Ancora meglio se lo si può fare con compagni affiatati, come è successo ai Lowinksy con questo disco, che riesce così a suonare ancora più frizzante e ispirato.

A guardare il video di “Brucia”, che riprende la band dietro le quinte della loro apertura ai Nada Surf lo scorso dicembre al Santeria di Milano (quando leggerete queste righe avranno già replicato, questa volta al Legend), si può toccare con mano quello che loro stessi hanno dichiarato nell’intervista che abbiamo pubblicato qui nei giorni scorsi: i Lowinsky sono diventati una vera band.

Dopo la fine della line up precedente, quella legata al debut Oggetti smarriti, uscito il giorno stesso in cui l’Italia si è trovata immersa nell’ondata Covid e di conseguenza finito quasi subito nel dimenticatoio, Carlo Pinchetti aveva resuscitato il monicker, ma l’idea era più che altro quella di dare un nome a quello che sarebbe rimasto un contenitore aperto per tutti i suoi progetti.

È accaduto esattamente il contrario: dopo un primo momento di assestamento e un cambio di batterista, la formazione messa in piedi per suonare dal vivo le canzoni di Triste sbaglio sempre lontani è divenuta stabile al punto che non c’è più bisogno di cercare ulteriori collaborazioni.

Dal video tutto questo si capisce: Carlo Pinchetti (voce e chitarra), Linda Gandolfi (voce), Davide Tassetti (chitarra), Elena Ghisleri (basso e violoncello) e Federico Inguscio (batteria) sono amici e si divertono a condividere lo stesso palco; per la prima volta, dunque, le stesse persone che hanno suonato assieme per un anno sono poi entrate in studio a registrare un disco.

 

Alice inizia a capire, da questo punto di vista, può essere considerato un nuovo inizio, sebbene non sia tecnicamente il primo lavoro che esce a nome Lowinsky. È però il primo in cui il contributo di Carlo Pinchetti, come sempre autore di tutte le canzoni, è stato vagliato e integrato da tutti i componenti, così che si può parlare davvero di un lavoro d’insieme, nonostante un’unica firma principale.

Sotto la sapiente regia di Ettore “Ette” Girardoni, che con Pinchetti aveva già lavorato in precedenza (sia coi Daisy Chains sia in “Bottom of the Barrel”, dal precedente disco) e che qui confeziona un vestito sonoro perfetto, potenza e melodia ottimamente bilanciate e un’impronta nitida e decisa di ogni strumento, i cinque appaiono in forma smagliante e decisamente ispirati.

Niente di nuovo sotto il sole per quanto riguarda la proposta: siamo di fronte al solito Indie Rock frizzante, ben radicato nei suoi riferimenti ai mostri sacri del genere, dai Replacements ai Big Star, dai Bright Eyes ai Lemoneahds (peraltro esplicitamente omaggiati nel titolo) e suonato con grinta ed intensità tipiche di chi ogni volta è bello come la prima.

 

L’apertura di “Brucia”, tra narrazioni di disagi generazionali e un ritornello melodicamente azzeccatissimo, fa da naturale contrasto alla tirata Power Pop di “Love Gone”, che suona quasi come un’outtake di It’s a Shame About Ray. Carlo ricorre con grande naturalezza al cantato in inglese, dopo che per gran parte della carriera ha preferito l’italiano, e mostra che la lingua, alla fin fine, è semplicemente un mezzo che non sposta eccessivamente gli equilibri, nella misura in cui il pezzo in sé funziona. “The Simmetry” (col testo di Livio Montarese dei Fernandhell) e “Beautiful” mettono in luce una malinconia inedita, un’atmosfera meditativa che ricorda Elliott Smith, un inserto di violoncello veramente emozionante (nella prima) ed una prova solista da parte di Linda (in una strofa della seconda) che dimostra come sia parecchio cresciuta come cantante e non possa più essere considerata semplicemente come una semplice addetta ai cori.

“La fortezza” riprende nuovamente il tema buzzatiano de Il deserto dei Tartari, che era al centro di Triste sbaglio sempre lontani, e lo fa attraverso una ballata vagamente onirica, che esprime in pieno quel pessimismo esistenziale che domina nel finale del romanzo (sottolineato ancora di più da uno stralcio di intervista allo stesso Buzzati, incorporato nella coda del brano).

Densa di presagi oscuri è anche “Il trono d’oro”, che sottolinea la distanza incolmabile tra umano e divino, mentre la title track, al contrario, è una bordata di energia allegra e coinvolgente, un omaggio a Evan Dando e ai suoi Lemonheads, con un ritornello interamente composto da titoli di sue canzoni. Dal vivo l’abbiamo già sentita e funziona benissimo, probabilmente è una delle cose più azzeccate mai scritte da Carlo.

Tra le “sorprese” stilistiche c’è poi “Respirare”, che ha un inedito piglio Folk, che ricorda in parte i Gang e che tratta temi socioeconomici con una buona dose di ironia, senza dunque risultare pesante o stucchevole.

 

Un gran bell’album, ulteriore dimostrazione che in questo genere quel che conta è solo saper scrivere belle canzoni, essere a proprio agio con la linearità e la semplicità degli ingredienti. Carlo Pinchetti questo l’ha sempre fatto molto bene, ma a questo giro ha trovato coi propri compagni d’avventura un’intesa che gli ha permesso di alzare l’asticella.