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REVIEWSLE RECENSIONI
22/12/2018
Gianni Maroccolo
Alone Vol. 1
Probabilmente il primo volume di “Alone”, uscito un paio di settimane fa in un periodo dell’anno in cui parlare di dischi nuovi è sempre fisiologicamente complicato, potrebbe essere considerato il vero e proprio avvio dell’avventura solista di Gianni Maroccolo.

Che se ci si pensa è una notizia, considerato che tra Litfiba, C.S.I, P.G.R e Beau Geste, oltre alle svariate collaborazioni con altri artisti (Ivana Gatti e Marlene Kuntz per citare solo le più importanti) di dischi a suo nome ne erano usciti solamente due. Che alla fine erano zeppi di ospiti, col secondo “Nulla è andato perso” realizzato in collaborazione con Claudio Rocchi.

“Alone”, stando anche a quanto dichiarato dallo stesso autore, segna un capitolo a parte e allo stesso tempo un nuovo inizio, un progetto dove il bassista e produttore toscano si è messo in gioco in prima persona, forse molto più di prima, pur senza disdegnare aiuti illustri da più parti.

Realizzato per la storica Contempo Records, label che per il rock italiano è molto più che un’istituzione, questo “disco perpetuo” è interessante innanzitutto per la formula scelta: saranno quattro uscite, una ogni sei mesi, vendute esclusivamente attraverso il sito della casa discografica, con un “numero zero” in esclusiva per chi avesse deciso di sottoscrivere l’abbonamento a tutti i capitoli. Un ritorno alle origini, alla musica inseparabile dal suo supporto fisico, al vinile o il cd come oggetto da collezione (ci saranno anche le illustrazioni di Marco Cazzato e i racconti di Mirco Salvadori ad impreziosire il packaging), ai contenuti se li volevi li dovevi comprare, con buona pace del download illegale dell’altro ieri e dello streaming legale di oggi. Già solo per questo meriterebbe un plauso. Sarà magari una battaglia contro i mulini a vento (sempre che come battaglia la intenda lui, perché probabilmente vuole semplicemente divertirsi) ma è una battaglia che è degna di essere portata avanti.

Sul contenuto forse ci sarebbe da sbilanciarsi tra due anni, quando il progetto sarà concluso e avremo in mano tutti i pezzi del puzzle. L’inizio è però talmente buono che abbiamo bisogno di dirlo subito. Il primo capitolo di “Alone” è quasi esclusivamente strumentale, con qualche sporadico inserto vocale che non assume mai la dimensione verbale, limitandosi al livello del vocalizzo, utilizzato essenzialmente come uno strumento tra i tanti.

C’è un po’ di tutto, dal Post Rock all’elettronica, dall’Ambient al Free Jazz, passando per suggestioni tribali ed Afro Beat: un viaggio sonoro fluido e senza confini, dove i paesaggi sonori mutano in continuazione lasciando l’ascoltatore dapprima disorientato, poi piacevolmente sorpreso, sicuramente mai annoiato. È in effetti questo, se si guarda bene, il pregio più grande di tale lavoro: pur non essendo incentrato sulle melodie portanti o sulla forma canzone e dando molto più peso alle tessiture ritmiche e alla mescolanza dei colori e delle atmosfere, “Alone” è un disco relativamente facile da fruire, non orecchiabile ma nemmeno troppo ostico come a volte accade con cose dello stesso genere.

Centro vero e proprio e autentico capolavoro sono i 17 minuti di “Tundra”, scritta in collaborazione con Iosonouncane; vi ritroviamo il tribalismo che aveva reso “Die” uno dei lavori italiani più importanti del 2015 ma nel suo lungo fluire la traccia svolge diversi temi, con lancinanti interventi di fiati nella parte centrale ed una sezione più distesa ed introspettiva, quasi Ambient, nel finale.

Bella anche “Cuspide” in apertura, con la chitarra acustica in primo piano a far da base per l’ingresso di una tastiera che riporta di schianto all’elettronica ottantina.

E poi le due parti di “Altrove”, dove compaiono anche le chitarre e dove Gianni dà spazio finalmente al suo strumento principale, per una composizione di forte stampo orientaleggiante, impreziosita dai vocalizzi di un irriconoscibile Edda e dal sitar di Beppe Brotto.

Si cambia ancora in “Sincaro”, che è probabilmente il brano più “mosso”, con la voce dell’altro ospite illustre

Luca Swanz Andriolo, le aperture semi orchestrali sulle quali, nel finale, si inserisce la magnifica tromba di Enrico Farnedi.

“Altrove” è un disco magnifico, “perpetuo” anche perché merita di essere goduto ascolto dopo ascolto, per potervi scoprire ogni volta un particolare nuovo. Ci rivedremo tra sei mesi per il prossimo capitolo ma già da ora si può dire che Marok abbia fatto centro ancora una volta, riaffermandosi come uno degli esponenti più importanti della nostra scena musicale. E se il pubblico riuscirà pure a mettere mano al portafogli, sarà tanto di guadagnato.