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MAKING MOVIESAL CINEMA
Altered Carbon
Laeta Kalogridis
2018  (Netflix)
SERIE TV
all MAKING MOVIES
14/02/2018
Laeta Kalogridis
Altered Carbon
...ma capisci subito che questo strizzare l'occhio alla parte più voyeur dello spettatore, serve ad annebbiare i sensi, a non far capire che dietro tutto questo fumo, c'è poco arrosto.

Tu chiamalo se vuoi effetto Blade Runner.
Sta di fatto che lì, in quel futuro distopico, sporco, corrotto e fumoso, si torna a puntate.
Chiamalo semplicemente cultura cyberpunk, riscoperta ora, e tornata di moda.
Se da una parte avevamo replicanti che non erano umani ma fingevano di esserlo, ora abbiamo umani che cercano di non essere umani, che la morte l'hanno sconfitta, e che possono vivere in eterno, cambiando corpo – guscio - trasferendo la loro memoria (la loro anima?) a piacere.
Basta non distruggerla quella memoria che ha il formato di un gettone.
Basta avere i soldi, soprattutto, che sarà bello vivere per sempre, rimanere sempre se stessi o la versione fisica migliore che si vuole, ma solo se te lo puoi permettere. Altrimenti ti affanni, cerchi di sopravvivere raggirando, vendendoti, come puoi.
Questa la situazione: Takeshi Kovacs si risveglia dopo 250 anni di prigionia cieca in questo mondo che è ancora quello che aveva lasciato, ma in un corpo diverso. Lui, ribelle – Sedi, per la precisione - che cercava di fermare l'eternità, di far tornare la morte in circolo, addestrato ad usare i sensi e il miglior combattimento, viene assoldato da un miliardario che è stato ucciso, e vuole capire da chi.
E pensi già alla bellezza di un giallo nel futuro, un giallo in cui il morto è ancora vivo, in cui l'ambientazione è decisamente cool.
Però, fin da subito, qualcosa scricchiola.
Scricchiola Joel Kinnaman, che, anche se è un bel vedere, non ha la voce, l'impostazione giusta per un personaggio che prevede molto cinismo, molta ironia e menefreghismo.
Scricchiola un po' pure James Purefoy, con quella sua solita aria snob e acculturata, sempre chiuso nello stesso ruolo di cattivo e psicopatico.
Scricchiola la poliziotta Ortega che cerca pure lei la verità, ma è un cliché ambulante con il cuore infranto, l'attrazione che nasce, l'egocentrismo che la rende da subito odiosa.
Il problema arriva poi quando il giallo in questione, l'investigazione in corso, si perde, e si perde per strada pure James Purefoy, si aggiungono personaggi - Poe, la famiglia Elliott - a cui non si capisce se dare peso e che finiscono per averlo quel peso (almeno su carta; nel cuore e nelle simpatie, mica tanto), si aggiungono trame, ricordi, colpi di scena che confondono le acque. E se si pensa che tutto questo aggiungere, aggiunga pure enfasi, interesse alla vicenda di Kovacs, non è così, perché più si allunga il brodo, più ci si annoia.
Certo, ci si rifà gli occhi di fronte a questo futuro ben concepito e a soldi di post-produzione ben spesi, ce li si rifà pure davanti ai tanti nudi, fronte/retro, maschili/femminili e alle tante scene di sesso che fioccano così, come se non fossimo su Netflix ma su HBO, ma capisci subito che questo strizzare l'occhio alla parte più voyeur dello spettatore, serve ad annebbiare i sensi, a non far capire che dietro tutto questo fumo, c'è poco arrosto.
Si arriva così stancamente al finale, nemmeno così imprevedibile, anzi, piuttosto deludente e confuso, non retto da alcuna motivazione plausibile nonostante i morti ammazzati fatti, le volte che Kovacs ha rischiato la vita.
Si finisce, e si lasciano le porte aperte ad una prosecuzione che vorrebbe essere romantica, ma che romantica non è.
L'effetto Blade Runner, purtroppo, è allora quello originale, quello in cui la trama era poca cosa a conti fatti e si puntava su altro, sulle atmosfere, sulla creazione di quel futuro. Sarebbe stato meglio ritrovarsi nel 2049, dove le lacrime, la linearità, e una storia come si deve erano più di casa.