Terzo film per i fratelli D'Innocenzo e terza ottima prova consecutiva. Ormai i due registi romani sono una realtà consolidata del cinema nostrano, quello che vale la pena d'esser seguito con attenzione. Ancora una volta i due ragazzi rimangono nella provincia laziale per una storia che affronta il ruolo del genitore solo in senso lato (tema già presente sia ne La terra dell'abbastanza che in Favolacce) mentre dal disagio sociale, da quello affettivo e dei sentimenti, si passa a un disagio che diventa nel tempo tutto interiore, scatenato da una di quelle situazioni capaci di cambiarti la vita in un singolo istante, ovviamente in peggio. È ancora una volta una storia molto cupa, con pochissimi sprazzi di luce quella costruita dai D'Innocenzo, è questa una cifra stilistica costante che però viene abilmente inserita dai registi nei loro film senza farli mai risultare troppo simili tra loro. In America Latina si percepisce una maggiore vicinanza ai generi, lambiti e adattati con maestria dagli autori (ormai è assodato che i due gemelli lo siano) che riescono a rimanere riconoscibili e personali. Il film presenta alcune soluzioni appannaggio di molto horror o del thriller senza essere fino in fondo né l'uno né l'altro, ne esce una mistura dove il ruolo centrale lo gioca l'uomo, la sua mente, l'insinuarsi del sospetto, l'incrinarsi della fiducia in sé stessi e negli altri, la possibilità (forse) di forme di recupero e guarigione, da traumi personali, da quelli inflitti, ancora una volta, dai genitori (la figura del padre portata in scena da un ottimo Massimo Wertmüller).
Siamo nella provincia di Latina, Massimo Sisti (Elio Germano) è un bravo dentista con uno studio avviato, un'ottima etica professionale sia nei confronti dei suoi clienti che delle sue collaboratrici. Vive in una villa con piscina con l'amorevole moglie Alessandra (Astrid Casali) e le due figlie Laura (Carlotta Gamba) e Ilenia (Federica Pala), una adolescente alle prese con i primi ragazzi, l'altra ancora piccina. Nonostante il benessere economico e la bella casa, la zona circostante sembra una landa solitaria, abbandonata, più consona agli incontri serali di Massimo con l'amico Simone (Maurizio Lastrico) per una bevuta o due che non a una serena vita familiare. Durante una di queste serate Simone sembra preoccupato a causa di qualche guaio in cui si trova e chiede a Massimo un prestito, una cifra abbordabile che Massimo concede con serenità. Nei giorni successivi, mentre la vita di Massimo corre come al solito serena, questi si reca nella cantina della villa in cerca di una lampadina da sostituire e si trova di fronte a una scena sconvolgente che lo getta nel panico. Da quel momento la sua vita cambierà compromettendo i rapporti familiari e quell'equilibrio mentale che Massimo aveva raggiunto nonostante il pessimo rapporto con il padre, un equilibrio che ora comincia a vacillare in maniera pericolosa.
Nella struttura, nella creazione della tensione, i D'Innocenzo non costruiscono nulla di nuovo, rielaborano sapientemente cose che in maniera similare abbiamo già visto altrove, alcune sequenze sono molto riuscite, un po' per l'innegabile talento per la regia dei due fratelli un po' per la bravura di un Elio Germano che si conferma sempre ottimo. Eppure America Latina ha proprio il sapore di un film di Fabio e Damiano D'Innocenzo, a partire da quel movimento in auto in apertura di film, da quei paesaggi, da quella luce (fotografia di Paolo Carnera con loro fin dal primo film) e anche per quell'aria pesante che attanaglia il loro cinema. Si scava nella testa di un uomo, la locandina in questo è chiarificatrice con quel cranio ammaccato come fosse un guscio d'uovo rotto da un colpo ricevuto, ed è proprio un colpo che sconvolge la vita del protagonista. I D'Innocenzo ci accompagnano alla ricerca di ciò che di quel colpo sta a monte, lo fanno con tante inquadrature strettissime, a volte sul volto di Germano, altre solo su alcuni particolari di quel volto, a stringere sempre più, facendoci vivere una casa sempre più inquietante e un protagonista che scena dopo scena perde lucidità, va in affanno, aspetti che Germano sottolinea con un gran lavoro sul respiro. Se la meccanica del film è intuibile, sicuramente a posteriori abbastanza limpida, ciò che rimane è la caduta verso il baratro della quale lo spettatore, trattenendo un po' il fiato, aspetta l'impatto finale. Niente da dire, questi due sono in gamba per davvero, si aspetta che in qualche maniera nel loro cinema filtri anche un po' di luce, giusto così, per vedere di nascosto l'effetto che fa.