Se c'è una band che ha saputo sempre far parlare di sé in ambito metalcore, sia nel bene che nel male, questi sono i Bring Me The Horizon, quintetto britannico attivo dal 2004 e ormai giunto al sesto album.
Nel corso degli anni si è parlato tanto di loro, dei problemi di irascibilità e dipendenze di Oliver Sykes, da sempre vocalist e frontman, così come dei cambi di formazione, degli album che non sempre sembrano seguire un filo logico e di molto altro che spesso è sembrato avere più a che fare con del gossip superficiale che con la musica.
Ai Bring Me The Horizon, che piacciano o no, va sicuramente dato il merito di aver rappresentato un genere nel mondo, di averlo via via sgrezzato, rinnovandolo sempre con elementi nuovi generalmente al passo con i tempi.
Proprio in virtù di questa modernità, che si è sempre mossa con una produzione sempre più di alto livello di album in album, siamo arrivati ad “Amo”, che sancisce la fine di un'era e la fine di una band.
Se il concept fosse stato pubblicato con un altro nome, come side project di alcuni componenti, saremmo qui a scriverne in maniera diversa, ma non si può giudicare questo lavoro senza tenere conto di ciò che è stato e di ciò che forse non sarà più. Che Oliver Sykes abbia problemi alla voce è ormai risaputo, che fatichi a tenere lo screamo è alle orecchie di tutti, così come è del tutto evidente che, nonostante la giovane età, alcuni pezzi siano ormai impossibili per lui. In virtù di queste incombenze tecniche e di una voglia di sperimentare Sykes ci aveva avvertiti, ci aveva anticipato che questo album sarebbe stato più pop dei precedenti, ma sicuramente, per quanto alcuni pezzi passati fossero quasi radio-friendly, nessuno, me compresa, si aspettata un lavoro totalmente pop elettronico.
Ad eccezione di “Mantra” e di “Wonderful Life”, che vede la partecipazione di Dani Filth, siamo di fronte ad una melodia fatta di basi, effetti, sonorità preconfezionate che annullano totalmente, rendendoli superflui, la presenza di chitarra, basso e batteria.
Per quanto la produzione sia veramente ottima, siamo di fronte ad una specie di Hit Mania Dance con un Oliver Sykes senza fiato, che quasi sussurra in certi momenti, e che si discosta da quanto fatto nei lavori precedenti. Come Bring Me The Horizon non c'è nulla che funzioni in questo album, non c'è nulla che risalti a livello compositivo e non c'è nulla che abbia senso.
Anche i Linkin' Park a loro tempo avevano preso una virata netta verso il pop ma, pur preferendo i primi lavori, avevano comunque conservato e dato importanza a tutti i loro componenti, dimostrando che si può fare pop e musica elettronica senza affidarsi totalmente alla tecnologia.
“Amo” è qualcosa di cui non avevamo bisogno, un album che sicuramente allontanerà molti fan, i più affezionati, dalla scena e da quel pit che presto dimenticherà il pogo.
Ha senso ancora chiamarsi Bring Me The Horizon? Non è forse meglio fare un rilancio senza rovinare ulteriormente questo nome? A voi l'ardua sentenza, io ritorno a sentire “There Is a Hell, Believe Me I've Seen It. There Is a Heaven, Let's Keep It a Secret".