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REVIEWSLE RECENSIONI
06/11/2025
Frah Quintale
Amor Proprio
Con Amor proprio, Frah Quintale si guarda allo specchio e finalmente vede sé stesso. Non un riflesso deformato ma uno specchio sincero: fragile, umano, autentico. La fotografia di una generazione che convive con la malinconia dei giorni ordinari.

A due anni di distanza dal progetto Lovebars con Coez, Frah Quintale torna a parlare sottovoce con un nuovo lavoro solista: un progetto più raccolto, meno spavaldo, pochissimo gangsta e molto umano, un diario disordinato ma sincero dove la spregiudicatezza lascia spazio alla vulnerabilità. L’immaginario urbano di Frah (graffiti, grafiche pop, luci al neon, kebab notturni di periferia e tanto vino con gli amici di sempre) si intreccia con l’urgenza di verità, in constante equilibrio tra fragilità e autostima. Ne nasce un lavoro intimo, in cui l’amore non è più solo quello che finisce, ma anche quello che resta.

Undici tracce, nate insieme a Bruno Bellissimo, Benjamin Ventura, Ceri Wax, Golden Years e Sine, e arricchite dalle collaborazioni di Colapesce, Joan Thiele e Tony Boy, costruiscono un percorso di cura e accettazione che suona fresco e consapevole. Frah mette al centro l’amore con la maturità di chi accetta lo scorrere del tempo e la fine di una storia d’amore,  le proprie priorità, restando fedele alla propria visione anche a costo di rinunce. Non c’è più la corsa ai trend o alle hit radiofoniche: ogni produzione è curata nei dettagli, ogni beat scelto per raccontare esperienze ed emozioni sincere. Il design del suono calza perfettamente: R&B, soul, funk e hip-hop si intrecciano come una sneaker da strada cucita su misura: ricercata, consumata, imperfetta e quindi autentica.

 

Con “Lampo”, Frah Quintale cattura l’estate in un battito: un incontro improvviso che incendia la notte e lascia il segno sulla pelle. La chitarra sgangherata vibra tra leggerezza e urgenza, mentre la voce attraversa il confine sottile tra desiderio e smarrimento. È il racconto di un istante che abbaglia, del coraggio di restare vivi anche quando tutto brucia. Ogni nota si accende e svanisce come una scintilla nel buio: breve, ma capace di illuminare tutto ciò che tocca.

“Occhi diamanti” è un gioco pericoloso: Frah Quintale riscopre il suo lato più rap, proseguendo idealmente il racconto di “Occhi da gangster” di Joan Thiele. In duetto con la voce eterea della cantautrice, il brano trasforma un incontro in un racconto visivo: un amore che brucia, sospeso tra desiderio e rischio. Il campionamento di “The Gentle Touch” di Herbert Chapell apre una finestra su un mondo retrò, tra locali al tramonto e luci soffuse, come in un vecchio film italiano. Rap e soul si fondono in un universo magnetico, dove ogni nota diventa immagine e ogni parola vibra tra emozione e leggerezza.

In “Gelato”, Frah Quintale aggiorna invece con disincanto una delle immagini più iconiche della canzone italiana: "sto morendo e tu mangi il gelato", citazione diretta da “Cara” di Lucio Dalla. Il brano racconta un divario emotivo profondo, una dissonanza tra due persone che vivono lo stesso rapporto in modi opposti: lui con un coinvolgimento pieno e doloroso, lei con un distacco glaciale. Anche l’amore si congela ("tre gradi sotto lo zero") e diventa memoria linguistica: "noi due ormai siamo un verbo al passato". Con la sua scrittura limpida e evocativa, il rapper trasforma la fine di una relazione in un frammento di quotidianità sospeso tra ironia e malinconia, dove il gesto più semplice rivela tutto il peso del non detto.

A chiudere il disco, “Non scendo più” si apre come uno specchio incrinato dell’anima, un invito a fermarsi e ascoltare ciò che batte nelle crepe del silenzio. Frah Quintale raccoglie i frammenti degli errori, i cocci dei momenti vissuti, e li trasforma in consapevolezza: un gesto di resistenza intima, quasi un rito di sopravvivenza. "Anche quando ho tutto contro. E sento addosso tutto l’odio. Non sarò mai come loro. Resto vero finché muoio". Le sue parole diventano un canto sommesso, fragile e ostinato, che rivendica la verità di sé nel disordine della vita, dove autenticità e dolore finiscono per coincidere.

 

In Amor proprio tutto parla la stessa lingua: quella della cura. Anche l’immagine. La copertina ritrae Frah Quintale seduto sul divano di casa, rifugio di intimità e silenzio, con alle spalle una grande tela dipinta da lui stesso: una cassetta degli attrezzi colorata, confusa, viva. Un oggetto semplice, spesso dimenticato nello sgabuzzino, ma capace di offrire strumenti per riparare ciò che si è rotto dentro di noi, liberare il superfluo, ricucire rapporti e, in un senso più ampio, aggiustare il mondo intorno.

In un’epoca che corre senza tregua, Frah Quintale sceglie di rallentare e ci propone una medicina tanto amara da digerire quanto necessaria: la cura di sé, anche quando non ci sentiamo pronti a guarire.  Amor proprio non promette salvezza. Insegna a restare, imperfetti e fragili, quando tutto intorno chiede forza, a imparare a stare soli e a volersi bene, anche con gli occhi ancora bagnati dalle lacrime.  E quelle lacrime, qui, non sono più solo ferite: diventano acqua viva che pulisce, che svuota, che libera lo spazio per respirare, per crescere, per rinascere.