Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
REVIEWSLE RECENSIONI
10/07/2019
Thom Yorke
Anima
Il quarto lavoro solista di Thom Yorke è arrivato quasi all’improvviso, senza snervanti anticipazioni, preceduto solamente da un’enigmatica campagna pubblicitaria, fatta di misteriosi annunci di un’ipotetica azienda in grado di recuperare i sogni della gente, comprensiva di un numero da chiamare attraverso il quale, per i curiosi che avessero voluto provare, si riceveva un’anteprima di “Not the News”, uno dei brani del disco.

Fantasioso e misterioso ma ormai non fa più notizia: i Radiohead ci hanno abituato a queste stravaganze comunicative al punto che ormai, quando i loro canali Social denunciano un’attività anomala, sappiamo già che qualcosa sta bollendo in pentola.

Potrebbe piuttosto sorprendere il fatto che “ANIMA” arrivi a così poca distanza dalla colonna sonora di “Suspiria”, che era uscita in inverno. Eppure anche qui, i ritmi dell’artista britannico sono sempre stati frenetici, almeno dal punto di vista compositivo: quasi nessuno dei nuovi brani è propriamente inedito, essendo già stati suonati più volte dal vivo (“Twist” è in giro addirittura dal 2012); chi è stato a vederlo nelle date italiane dello scorso anno, per dire, si è beccato gran parte della tracklist in anteprima.

Quindi alla fin fine, “ANIMA” rappresenta un passo obbligato, il naturale rilascio di una fase della carriera artistica di Thom Yorke, che appariva già perfettamente metabolizzata.

Semmai, l’autentico punto di novità è rappresentato dal corto di Paul Thomas Anderson, che accompagna il disco, che vede lo stesso Yorke nella parte del protagonista e la partecipazione dell’attrice Dajana Roncione, sua compagna da alcuni anni.

Un legame già esistente, quello col regista americano, dato che Jonny Greenwood realizza da anni le colonne sonore dei suoi film (l’ultima è quella del pluripremiato “Il filo nascosto”). E ci sta anche, questa componente cinematografica, se consideriamo che il cantante ha appena realizzato la soundtrack del già citato “Suspiria”, con il quale si è particolarmente coinvolto (ha passato pure qualche giorno sul set a Varese, all’Hotel Campo dei Fiori, location principale della storia).

È chiaro dunque che ormai che la sua carriera solista stia procedendo in perfetto parallelismo con quella dei Radiohead, come anche le numerose date dal vivo tendono ad attestare.

Ci ho messo un po’ ad entrare in questo disco e non è detto che sia riuscito a farlo. Il problema, con Thom Yorke è che, rispetto alla sua band madre, si ha sempre l’impressione di trovarsi di fronte ad un lavoro incompiuto. Ci sono sempre bellissime intuizioni, siamo sempre ben sopra alla soglia della sufficienza ma il guizzo di genialità pura non arriva quasi mai, come se la somma delle teste dei vari componenti fosse di gran lunga superiore al talento individuale.

Probabilmente solo con “Suspiria” è riuscito davvero ad andare oltre e a produrre qualcosa di non strettamente confinato a ciò che di solito ci si aspetta da lui, è probabile che la forma della colonna sonora lo abbia reso in qualche modo più libero.

Con “ANIMA” si ritorna alla formula tradizionale e il risultato, per quanto eccellente, ancora una volta non fa gridare al miracolo. Coadiuvato come al solito da Nigel Godrich, Yorke confeziona nove tracce (che dovrebbero essere dieci, nella versione fisica che uscirà più avanti) dove la componente elettronica è sempre molto forte ma che hanno allo stesso tempo un gusto più tradizionale e meno “caricato” rispetto a quello che si poteva per esempio sentire su “The Eraser”.

C’è una generale componente di apertura, con un utilizzo del Synth che dona a diverse composizioni un’atmosfera più ariosa, quasi rilassata. Non c’è quella sensazione di claustrofobia che si respirava a pieni polmoni nei suoi precedenti lavori e a prima vista si rimane quasi spiazzati dalla piacevolezza e dalla quasi solarità di certe melodie.

Non è del tutto così, però. Il titolo “ANIMA” rimanda alla psicologia junghiana e tutto il tema dell’inconscio che viene espresso nei testi (Thom stesso ha dichiarato di essere partito alcuni dei suoi sogni, per il processo di scrittura) trasmette una serie di immagini inquietanti e non perfettamente contestualizzabili. Ci sono uomini che hanno le dimensioni dei ratti, un ragazzo in bicicletta che scappa da qualcosa, una macchina abbandonata in mezzo ai boschi col motore ancora acceso, uccelli che cantano salutando l’arrivo del giorno, persone sconosciute che compaiono all’improvviso, violini che suonano in uno spazio misterioso, il voler essere pronti ed adeguati a tutti i costi ma rendersi conto di stare andando nella direzione sbagliata, la rabbia verso un non precisato marchingegno che avrebbe dovuto dare la felicità ma che invece non mantiene quel che promette.

Sogno, interiorità, distopia: bene o male si tratta di tematiche con cui Thom Yorke si è sempre dilettato, sia coi Radiohead che da solo.

Il film si articola invece nell’arco di 15 minuti, con la storia che si dipana attraverso tre pezzi del disco (“Not the News”, “Traffic”, “Dawn Chorus”), partendo dalla metropolitana di Londra e snodandosi attraverso vari luoghi, che potrebbero essere il centro di una città d’arte italiana ed un parco da qualche parte in Polonia. Atmosfere che richiamano a tratti Dürrenmatt (senza fare spoiler, anche se a quest’ora immagino l’abbiate già visto tutti, c’è una scena che mi è sembrato una citazione fin troppo esplicita del suo racconto “La trappola”), a tratti Murakami, il tentativo di due anime che provano ad unirsi per la vita, in una dimensione onirica dove tutti sembrano andare inesorabili verso un destino di anonima dimenticanza.

È un arco narrativo breve ma intenso, che si chiude allo spuntare del giorno, col rivelarsi di una verità che, probabilmente, non era quella che il protagonista si aspettava.

Ad essere sinceri, questo prodotto di accompagnamento (sempre che sia lecito chiamarlo così) appare molto più convincente del disco in sé. Che è un lavoro senza dubbio ispirato, occorre sottolinearlo, ma che, come detto prima, non è poi così eclatante, con una seconda parte di buon livello ma tutto sommato derivativa e tre soli episodi davvero sopra la media: l’iniziale “Traffic”, col suo andamento percussivo incalzante e quasi Afrobeat, che strizza l’occhio al classico songwriting dei Radiohead post 2008 ma che sa mantenere ben desta la soglia dell’attenzione. Poi c’è la successiva “Last I Heard (He Was Circling the Drain)”, circolare ed ipnotica, forse più vicina alle atmosfere di “Suspiria”, è decisamente interessante nel suo sviluppo. E poi “Dawn Chorus”, indubbiamente il capolavoro dell’album, una ballata pianistica ossessiva, dal cantato monocorde, che trasmette allo stesso tempo inquietudine e liberazione. Tra le cose migliori mai scritte da Thom, da solo e con i Radiohead, prova lampante di come sia ancora in possesso di un talento inimitabile, anche se fisiologicamente non lo può certo tirare fuori a comando.

Resta che “ANIMA” appare di gran lunga superiore sia a “The Eraser” che a “Tomorrow’s Modern Boxes” e che per quanto lo si possa preferire all’interno dei Radiohead, la carriera solista di Thom Yorke non va certo ignorata.

Arriverà tra pochi giorni per alcune date nel nostro paese, a questo giro tutti luoghi particolarmente suggestivi. Un’occasione che vi suggerisco di cogliere al volo, soprattutto se siete in zona.


TAGS: Anima | dance | elettronica | lucafranceschini | nuovoalbum | recensione | ThomYorke