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REVIEWSLE RECENSIONI
02/06/2025
Mei Semones
Animaru
L’esordio di Mei Semones ridefinisce il concetto di contaminazione in musica. In Animaru, il jazz e la bossanova si amalgamano perfettamente con l’indie-pop/rock e col j-pop, ma è solo il suo songwriting a far suonare tutto questo maledettamente naturale.

Poche cose mi mandano in brodo di giuggiole come i ragazzini che si interessano al jazz o ai suoi derivati. Mei Semones di anni ne ha 24, e appartiene alla stessa generazione di Domi Louna e JD Beck, una fascia di età in cui trovare qualcuno con la voglia di studiare o anche solo approfondire una lingua quasi più morta del latino e, nel caso, comunque ostica da padroneggiare, è davvero trovare un tesoro.

Passatemi la metafora: è un linguaggio imbattibile se devi descrivere campagne contro i Galli o la fondazione di città eterne o visioni epicuree del mondo (l'equivalente degli standard e del Real Book della società dei nostri nonni) ma con un vocabolario inadeguato e privo di una sintassi all'altezza se ti devi cimentare con la modernità. Nel nostro caso, mi riferisco a gente che suona da paura, probabilmente ex bambini prodigio diventati veri e propri mostri di tecnica che ostentano senza pudore - ma anche senza alcuna presunzione - l’estrazione colta da cui provengono. Un manierismo per fortuna non fine a se stesso, semmai con il valore aggiunto del buon gusto e delle contaminazioni con cui i giovani millennials approcciano il sacro in modo profano e con la perdonabile diffidenza con cui si scartabella nelle bancarelle dei rigattieri.

E mentre il duo autore di un pezzo, anzi un album intero da novanta come Not Tight, uscito nel 2022, ha mescolato con intelligenza il nu jazz e certe atmosfere breakbeat e drum’n’bass di fine secolo scorso, Mei Semones, accompagnata da un band di giovanissimi ma ottimi musicisti, lancia una nuova sfida accostando alla fusion generi come bossanova, j-pop e (addirittura) indie rock, talvolta anche nello stesso brano, come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza soluzione di continuità.

 

Intendiamoci. Alla pari del look e dell’immaginario alla Sailor Moon di Domi Louna, anche la cantautrice newyorkese sembra uscita da un cartone animato, con l’aggravante dei tratti orientali che sottolineano maggiormente i rimandi al mondo di Hayao Miyazaki. Della sua origine ha mantenuto anche la madrelingua, che sfoggia in alcune delle tracce del suo disco d’esordio, Animaru, una sorta di traslitterazione del modo in cui in giapponese si pronuncia la parola "animale". 

Più idiomi per raccontare la sua vita di giovane donna e artista nella grande mela, con i pro e i contro, i sogni e la realtà, il passato e il futuro, la famiglia (la sorella gemella è la protagonista del brano “Zarigani”), l’amicizia e l’amore. Non solo. La voce di Mei Semones è convincente anche quando supera l’inglese con il linguaggio universale dello scat, uno stile (il vero e proprio esperanto jazzistico) che brilla nei momenti in cui il cantato doppia gli elaborati temi strumentali, riuscendo a impressionare l’ascoltatore anche nelle - non poche - melodie senza parole. 

Cercate quindi di non lasciarvi ingannare da tutta la tenerezza che le sue pose e il suo sound irradiano senza pietà. Intanto perché la sua sorprendente bravura, al servizio di una rara creatività, è più che certificata da una laurea conseguita presso l’autorevolissimo Berklee College of Music di Boston e da un’invidiabile (considerata l’età) esperienza di chitarrista session woman in gruppi jazz ai tempi delle superiori. 

 

Il risultato è una tracklist di composizioni eseguite con una tecnica sopraffina. Mei Semones è accompagnata da una band di coetanei di dichiarata matrice acustica: la viola di Noah Leong e il violino di Claudius Agrippa, protagonisti di azzeccatissime sezioni di archi e di intricate linee soliste, ovunque accompagnati da una solida sezione ritmica composta da Noam Tanzer al basso e Ransom McCafferty alla batteria. Un ensemble dalla resa superlativa, in studio e live. 

In Animaru (sempre che non siate allergici al genere) non sentirete mai nulla di eccessivo, di pretenzioso o qualcosa sopra le righe. Non bisogna infatti perdere di vista la matrice di songwriting alla base del progetto di Mei Semones, aspetto che, nonostante la varietà stilistica, non scende mai in secondo piano. Le strutture dei brani non lasciano dubbi e la ricchezza sonora non penalizza per nulla la sostanza del disco: un album d’esordio in cui la giovane artista condivide il suo mondo, una dimensione in cui il dominio del proprio strumento va completamente al servizio della sensibilità musicale. Nel suo jazz ibrido i virtuosismi sono solo un di cui, un design di interni di ambienti compositivi dalle solide fondamenta, strutture frutto di una già matura personalità artistica. Animaru è un disco quasi perfetto, un’opera prima in cui troviamo una Mei Semones già incredibilmente a proprio agio nel mondo della musica da grandi.