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REVIEWSLE RECENSIONI
20/04/2022
Rastroni
Anime da frutto
Nato dalla mente del musicista e matematico barese Antonio Rafaschieri, Anime da frutto ad un primo ascolto si presenta curatissimo e certosino, ma in un certo senso anche parziale. Un’alternanza di sensazioni, picchi e appiattimenti, un “gentile delirio” che risulta ben fatto anche se non di facile comprensione.

Nato dalla mente del musicista e matematico barese Antonio Rafaschieri, il disco Anime da frutto ad un primo ascolto si presenta curatissimo e certosino, ma in un certo senso anche parziale, se considerato il semplice ascolto. Siamo infatti di fronte ad un’esperienza di scrittura approfondita e arrangiata su molti strati, ma a servizio di qualcosa di più ampio e forse non alla portata di un semplice ascoltatore distratto, qualcosa che porti con sé la totale propensione a lasciarsi trascinare dall’immaginazione. Consiglio quindi da subito di confrontarsi con il full movie altrettanto accuratamente creato di pari passo a questo disco. Questo perché accanto ad atmosfere di tipiche canzoni di stampo prog si affiancano recitati, parlati e tappeti sonori che fanno da collante a quello che alla fine è un’unica e completa esperienza sonora e visiva.

Anima e terra si ergono a protagoniste di questo viaggio: un’alternanza di sensazioni, picchi e appiattimenti; un “gentile delirio”, come viene da loro stessi descritto, che risulta ben fatto anche se non di facilissima comprensione, vista appunto l’astrattezza e profondità del messaggio sotteso.

Il totale annegamento in quest’atmosfera sembra abbia reso il messaggio da un lato sicuramente vissuto e sincero, dall’altro col rischio concreto di risultare troppo distante. Il paradosso quindi è che il viaggio dentro di sé finisca per essere una marcata distanza dall’ascoltatore qualsiasi: a meno che chiaramente non si venga da subito inondati e presi dal fascino e dal segreto delle parole.

Cosa, questa, che ad esempio non è successa al sottoscritto, forse in primis per un motivo di background culturale, tanto musicale quanto forse filosofico o esoterico: il mondo musicale che emerge è preciso e ordinato, mai caotico (nonostante si parli in un certo senso di una dimensione spirituale che cammina di fianco al caos), ben prodotto e curato nel suono, di uno stampo chiaramente legato ad un rock italiano di matrice un filo-nostalgica, anni Novanta, che si alleggerisce nei richiami timbrici a Samuel, vocalist dei Subsonica. Appare poi il mondo pink floyd-iano di metà anni Settanta, quello da Dark side in poi, complici soprattutto gli interventi di sassofono e il linguaggio adottato nelle improvvisazioni o nei temi.
Sotto l’aspetto filosofico ci si imbatte invece in un contrasto già sottolineato tra anima e terra, che prende la forma sempre più spesso di un ipotetico punto d’incontro tra cielo e terra; quindi ciò che aleggia, per l’appunto le anime, diventano in un certo senso il tema costante e protagonista di tutto il concept. Ma non è chiaro quanto volontariamente.

Ecco, forse è proprio questo che allontana: che anche la concretezza dell’uomo usa quel linguaggio e quel sottofondo. Il contrasto non trascina totalmente verso dove vorrebbe. Il video, viceversa, aiuta sicuramente a contestualizzare e a sentirsi in un luogo familiare, complice l’abilità visiva del regista Emanuele Lucci di tradurre le intenzioni della mente di Rastroni.

“Salvazione artificiale” rimane musicalmente il momento migliore ed è assolutamente da sottolineare, sia per la tessitura armonica che lo sostiene sia per il mondo sonoro che culla la parentesi sulla tre quarti del pezzo, così come la successiva “Dalla seconda lettera del Telecomandante”, densa di parentesi in cui i tanti musicisti coinvolti e i relativi approfondimenti sonori hanno regalato un peso specifico tangibile. Un alleggerimento di stile e di mestiere su musiche ben scritte e arrangiate.

Tirando le fila, ammetto a me stesso di non essere forse sullo stesso piano di lettura da cui è stato visto e trascritto questo mondo visivo, tradotto in un suono e infine di nuovo in immagini. Non sono preso dalle parole, dallo stile di scrittura, e questo, pur essendo un dato soggettivo, ha comunque un peso importante nelle parole che posso spendere in una recensione. Questo anche perché avverto in qualche punto la sottile forzatura di parole scritte su un foglio di carta piuttosto che su una base musicale. Come se fossero venute prima del suono globale e troppo spesso incastrate nelle canzoni più per il significato che per la forma, più per la teoria di ciò che si ha da dire rispetto alla pratica di ciò che arriverà ad un ascoltatore.

Questo è forse un aspetto che immagino io e che, vero o meno che sia, comunque non regala una sensazione d’insieme con ciò che sto ascoltando e perciò mi assesto su un giudizio raffreddato dalla troppa architettura presente nella realizzazione del progetto.